V FASE O DELLA RIPRESA DELL'INZIATIVA DEMOCRATICA
La V ed ultima fase del Risorgimento segna una ripresa dell’iniziativa democratica.
Innanzitutto, si ricorderà, durante la guerra erano avvenute sollevazioni, dovute a iniziative dei democratici, delle popolazioni della Toscana e dell’Emilia-Romagna (Modena, Parma, Legazioni pontificie) che, reclamando l’annessione al Piemonte, vanificavano il piano di un’Italia sotto la supremazia francese previsto dagli accordi di Plombiéres.
L’annessione al Piemonte di tali regioni si realizza, in effetti, di lì a poco con i plebisciti da cui emerge la volontà popolare di entrare a far parte del Regno sabaudo dichiarando decaduti i governi restaurati.
L’iniziativa democratica, a questo punto, entra in una fase di concertazione con re Vittorio Emanuele II che asseconda il progetto dei democratici Pilo e Crispi di mettere Garibaldi a capo di una spedizione militare composta di volontari (1162, in gran parte del nord Italia) per la liberazione del sud Italia dai Borboni.
L’occasione è la sollevazione di Palermo del 4 aprile 1860 che inizia dal convento della Gancia.
Garibaldi parte, così, il 5 maggio 1860 da Quarto (presso Genova) con i suoi Mille su due vapori, il Piemonte e Lombardo della Società Rubattino, e giunge a Marsala in Sicilia dove riesce a sbarcare grazie alla presenza di due navi da guerra inglesi.
Il 14 maggio emana il proclama di Salemi in cui dichiara di assumere la dittatura dell’isola in nome di Vittorio Emanuele.
Dopo uno scontro vittorioso a Calatafimi parte della popolazione siciliana decide di unirsi all’impresa e Garibaldi può conquistare Palermo.
Di qui, il 2 giugno, il generale lancia un proclama che invita la popolazione, specie contadina, a partecipare attivamente alla lotta promettendo una grande riforma agraria che, però, non vedrà mai la luce.
Ottenuto, così, l’appoggio popolare e un nutrito arruolamento di volontari Garibaldi sconfigge l’esercito borbonico a Milazzo.
Liberata la Sicilia riesce, dopo un periodo di difficoltà, ad attraversare lo stretto di Messina e ad iniziare la risalita della penisola che lo porta in breve tempo a Napoli dove entra il 7 settembre come liberatore mentre Francesco II si era rifugiato a Gaeta.
Il vittorioso scontro finale con l’esercito borbonico avviene l’1-2 ottobre sul fiume Volturno e, poco dopo, Garibaldi si incontra con Vittorio Emanuele II (che, nel frattempo, aveva disceso la penisola liberando le Marche e Umbria) a Teano il 26 ottobre 1860:
qui Garibaldi sceglie di offrire i territori conquistati (Sicilia e sud Italia) al re sabaudo accettando la soluzione della loro annessione al Piemonte attraverso i plebisciti, rinunciando così ad indire l’elezione di un’assemblea nazionale costituente come sostengono molti suoi collaboratori. Con tali plebisciti la popolazione voterà l’annessione al regno dei Savoia.
Nonostante tale espressione di lealtà al re a Garibaldi non viene concesso di ricoprire per un anno la carica di luogotenente delle terre appena conquistate; gli viene, altresì, rifiutato che il suo esercito, composto, infine, da 20000 volontari provenienti dal centro-nord e 30000 dalla Sicilia e dal sud continentale, non venga disperso senza alcun riconoscimento del prezioso ruolo svolto.
Perciò, profondamente deluso, il 9 novembre Garibaldi si ritira in volontario esilio a Caprera.
Video 6 - La quinta fase del Risorgimento: ripresa dell'iniziativa democratica
TENTATIVO DI STILARE UN BILANCIO DEL RISORGIMENTO
I MILLE
Il 17 marzo 1861 si riunisce a Torino il primo Parlamento italiano che proclama re d’Italia “per grazia di Dio e volontà della nazione” Vittorio Emanuele di Savoia.
Questi sale al trono nazionale col titolo di Vittorio Emanuele II.
Ma essendo il “primo” re d’Italia, con la scelta di conservare la numerazione di “secondo” egli vuole indicare la propria continuità dinastica e l’estensione del suo regno all’Italia intera piuttosto che sottolinearne la novità assoluta.
Altri indizi di tale scelta di esaltare la cosiddetta piemontesizzazione dell’Italia sono:
1 - l’estensione della legislazione sabauda al nuovo regno;
2 - l’indicare quella appena apertasi non come la prima legislatura italiana, ma come l’ottava, cioè la successiva a quelle già trascorse del Regno di Sardegna.
Il Risorgimento si conclude, dunque, con un bilancio positivo - la nascita di uno Stato nazionale unitario e indipendente, ma con un limite intrinseco per quanto riguarda la modernità politica liberale e democratica.
Infatti, poco o nessun riconoscimento viene dato alla componente democratica che ha contribuito a realizzare l’unità nazionale in modo determinante con il volontariato che pure conta molte decine di migliaia di partecipanti.
Addirittura un uomo come Mazzini resta esiliato dall’Italia: la sua figura crea un tale imbarazzo al nuovo Stato che egli vive per lo più a Londra sotto la falsa identità di dottor Brown, lontano da quella patria per la cui liberazione aveva lottato tanto lungo e morendo in incognito a Pisa nel 1872.
Nonostante la grande lezione liberale di Cavour (che muore con un senso di sfiducia nella lealtà degli italiani verso le istituzioni parlamentari che aveva contribuito a valorizzare), lo Stato italiano, come si è già detto, resta privo di una costituzione perfetta – in quanto lo Statuto albertino rimarrà l’unica Carta sino al 1948 –
e la base di legittimazione delle istituzioni politiche sarà ancora per molti anni irrisoria: meno del 2% vota alle prime elezioni, in quanto il godimento dei diritti politici resta legato alla ricchezza.
In sostanza delle due grandi componenti che hanno dato vita al nostro stato-nazione, quella sabauda piemontese e quella mazziniana democratica, solo la prima avrà spazio e riconoscimento nel nuovo ordinamento.
La seconda dovrà attendere ancora quasi 90 anni.
MASSIMO D'AZEGLIO - I miei ricordi
Massimo D'Azeglio
L'Italia da circa un secolo e mezzo s'agita, si travaglia per divenire un sol popolo e farsi nazione. Ha riacquistato il suo territorio in gran parte. La lotta con lo straniero è portata in buon porto, ma non è questa la difficoltà maggiore. La maggiore, la vera, quella che mantiene tutto incerto, tutto in forse, è la lotta interna. I più pericolosi nemici d'Italia non sono i Tedeschi, sono gl'Italiani.
E perché?
Per la ragione che gli Italiani hanno voluto fare un'Italia nuova, e loro rimanere gl'Italiani vecchi di prima, colle dappocaggini e le miserie morali che furono ab antico la loro rovina; perché pensano a riformare l'Italia, e nessuno s'accorge che per riuscirvi bisogna, prima, che si riformino loro, perché l'Italia, come tutti popoli, non potrà divenir nazione, non potrà essere ordinata, ben amministrata, forte così contro lo straniero come contro i settari dell'interno, libera e di propria ragione, finché grandi e piccoli mezzani, ognuno nella sua sfera, non faccia il suo dovere, e non lo faccia bene, od almeno al meglio che può.
Ma a fare il proprio dovere, il più delle volte fastidioso, volgare, ignorato, ci vuol forza di volontà e di persuasione che il dovere si deve adempiere non perché diverte o frutta, ma perché è dovere; e questa forza di volontà, questa persuasione, è quella preziosa dote che con un solo vocabolo si chiama carattere, onde, per dirla in una parola sola, il primo bisogno d'Italia è che si formino italiani che sappiano adempiere al loro dovere; quindi si formino alti e forti caratteri. E pur troppo si va ogni giorno verso il polo opposto.
«l'Italia è fatta, gli Italiani sono da farsi».
Ed. originale 1876 – ed. Einaudi, Torino 1971, p. 4.
Video 7 - Tentativo di un bilancio del Risorgimento
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