domenica 17 aprile 2011

MARIO BARZAGHI: 2 INTERVISTE SUL VAMPIRO

Prima intervista: "Un filosofo e un libro svelano il segreto del successo del mito del vampiro" di Rita Lofano

C. Lee come Dracula in Horror of Dracula di T. Fisher, 1958

Se Dracula di Bram Stoker è ancora il romanzo più letto di tutti i tempi, la sua trasposizione cinematografica nel 1992 ha vinto tre Oscar e salvato il regista Francis Ford Coppola dal fallimento. Oggi  il 24enne  Robert Pattinson, protagonista della saga vampiresca Twilight, è considerato tra gli uomini più ricchi del mondo. Perché l'immagine del vampiro trova da più di due secoli un suo pubblico ininterrottamente pagante? Secondo lo studioso Mario Barzaghi, autore de Il mito del vampiro - Da demone della morte nera a spettro della modernità (Rubbettino, Soveria Mannelli 2010) , il vampiro   rappresenta  la geniale personificazione di un archetipo, della psiche collettiva di un’epoca, “è il volto oscuro di un mondo senza radici dominato dal sole nero della melanconia, di un mondo di degrado affettivo in angosciosa attesa che sopraggiunga da fantastiche lontananze il Persecutore, l’incubo moderno la cui perfetta figura è quella di Dracula”.

Perché il mito del vampiro “richiama lettori insaziabili” e continua a sbancare i botteghini del cinema? Perché il pubblico gode nel ripetere in continuazione una simile esperienza?

Per rispondere a questa domanda dovremo cercare di spiegare la regola in base a cui riesce a muoversi la figura del vampiro, cioè capire perché sprigioni un'efficacia di così elevata densità da restituire al suo pubblico un complesso di rappresentazioni  adeguato alle sue attese emotive. Il punto chiave della questione consiste nel fatto che quella del vampiro sembra porsi come figura emblematica della modernità: ma com’è possibile sia effettivamente moderna qualcosa i cui caratteri essenziali provengono dal repertorio più arcaico concepibile, cioè addirittura dal rituale esorcistico contro la peste elaborato dal folklore europeo che Frazer chiama "fuoco della miseria" e che, purtuttavia, appaiano come nuovi ad un'esperienza sottoposta alla ripetizione ossessiva della loro fruizione quale quella dello spettatore cinematografico? Ciò rende, a mio avviso, estremamente interessante la ricerca della regola che fa sì che il vampiro si presenti ogni volta come moderno, nonostante si offra ripetutamente sempre identico  al consumo solerte e instancabile del suo pubblico.

Esiste davvero una regola in base a cui spiegare perché lo spettatore moderno corre incontro, come ad una novità, a ciò che gli è da sempre già noto?

Il fatto è che il vampiro costituisce un'immagine arcaica in grado di raffigurare l'esperienza moderna, cioè un’immagine suscettibile di costituirsi in un archetipo collettivo (e perciò, come insegna Jung, in una forma drammatica essenziale inconscia dello spirito) atto a sopportare carichi rappresentativi sino a raggiungere sua singolarità col personaggio di Dracula "creato" da Bram Stoker. In tal modo esso raggiunge lo status di "mito moderno". Stoker, dunque, non è semplicemente un letterato che inventa un personaggio, ma un'espressione talmente acuta della psiche collettiva della sua epoca da essere stato in grado di esprimere con Dracula il Vampiro per antonomasia, cioè il "mito del Vampiro" in quanto sino a quel momento tale figura era ancora dispersa in una serie di elementi generici, cioè non aveva ancora raggiunto la singolarità che è divenuta familiare alle successive generazioni dei lettori.

Perché la figura del vampiro attrae molto i giovani, perché ha una forza particolare nell’immaginario collettivo  giovanile? 

Penso che sia perché, una volta raggiunto il suo status canonico col Dracula di Stoker, l'immagine in quanto archetipo si presta come nessuna altra a venire tradotta in un linguaggio clonale filmico-letterario e ad essere ripetuta, così, all'infinito sino all'attuale schiera dei vampiri-ketchup. Noto lo schema produttivo essa può, infatti, venir singolarizzata ad libitum e lo sarà in quanto espressione estetica di un carattere moderno dell'affettività: quello per cui ogni io trova difficoltà ad amare realmente in quanto entro la modernità si producono sistematicamente condizioni che lo rendono incapace di attuare - come insegna Freud - un'equilibrata distribuzione dell'energia affettiva in termini oggettuali e narcisistici.
Per quanto riguarda la mia definizione dell'attuale tipo giovanilistico del vampiro quale vampiro-ketchup, intendo dire che il neo vampirismo tardo moderno si caratterizza come una tendenza al consumo indefinito dell'inconsumabile, cioè del mito del vampiro attraverso il principio della serialità. Una forma particolare di tale consumo è, di recente, la nascita di una "vampiricità per adolescenti" secondo cui il vampiro è il nuovo ideale antropologico in quanto è uno sportivo dall'ammirevole forma fisica ottenuta praticando particolari esercizi ginnici, per cui il fittness è il modello che rimpiazza quello della "buona vita"; come ogni sportivo moderno che si rispetti, poi, il vampiro si mantiene sempre giovane osservando una particolare dieta fortemente proteica che non consente l'accumulo di grassi; il suo approccio affettivo è il flirting: egli rappresenta, così, un'assoluta norma comportamentale giovanile in quanto ha del tutto messo da parte ogni noiosa questione morale in favore della sola dimensione estetica. In una parola è l'utente ideale di Facebook.  Tutto ciò è portato alla sua espressione perfetta nel ciclo di romanzi della saga di Twilight di Stephenie Meyer  incentrata sull’amore tra Isabella Swan ed il vampiro Edward Cullen (di cui il film omonimo di Chaterine Hardwicke del 2008, offre con i volti di Kristen Stewart e di Robert Pattinson la rappresentazione congruente). Non è un caso che quella di "Twilight" sia una "saga", cioè sia una narrazione a struttura seriale consistenye in una quadrilogia (in definitiva un menù di quattro pietanze identiche) e cioè, com'è noto, da Twilight (2005), New Moon (2006), Eclipse (2007) e Breaking Down (2008).


Kristen Stewart e Robert Pattinson


Lei è un professore di filosofia, molto amato dagli studenti.  Su facebook c’è perfino un fan club di suoi ex alunni. La chiamano il divino, mitico Barza, super Mario. Ora forse la chiameranno anche Dracula... ma qual è il segreto di tanto successo con i ragazzi? 

Rispondere a questa domanda è impossibile, essendo io il diretto interessato, oltre che imbarazzante: bisognerebbe chiedere ai ragazzi stessi. Proverò, però, a riportare qualcosa di quanto mi hanno scritto anni dopo. Una volta un ragazzo mi ringraziò del fatto che all'esame di maturità in cui ero commissario, vedendolo particolarmente teso, gli offrii una sigaretta; le sue parole furono «Non dimenticherò mai questo gesto». Una ragazza ormai laureata e sposata avendomi ritrovato su facebook mi ha scritto: «Prof! Ahhhhh ke bello risentirla dopo ....dopo.....dopo quanto? 15 anni???? Santo cielo.....quanto tempo............ho ancora tutte le tesine conservate e anche l'ultima lezione su nastro!!!!!! Mitico!!! Ma adesso che fa il nostro Barzapapà - come ci piaceva chiamarla tra noi -???!!! Non so se si ricorda davvero di me....anche se non sono cambiata molto ;-) ma io non posso dimenticare tutto quello che ho imparato dalle sue lezioni prof!». Un altro ragazzo mi ha scritto: «Per me il mito più grande è stato il prof il giorno che ci ha dimostrato come riusciva a muovere la materia con il pensiero! quello è stato un vero miracolo! mi ha aperto un terzo occhio! grazie Mario. Ma ci riesce ancora prof? spero proprio di si! si ricorda? Sollevò semplicemente il braccio! e scoppiammo tutti a ridere!» E ancora una ragazza dice: «Che dire, lei è un maestro di vita! E come poche persone, davvero speciale e perciò le sono profondamente affezionata...». Più nello specifico questa allieva scrive: «Ho avuto la fortuna di capire tramite la filosofia il senso di tante cose. Correva l'anno 1987 mese di ottobre il giorno era o il 24 o il 26 lei è entrato in classe e ci ha detto "Oggi iniziamo Kant e sarà come andare in alta montagna dove l'aria si fa più rarefatta". Le sue lezioni su Kant (quanto mi risulta riduttiva questa definizione!) terminarono quattro mesi dopo alla fine di febbraio con tutto quello che questo ha comportato nella vita di molti di noi e in me in particolare.». Un altro mi scrive a proposito di questo libro: «E' il caro vecchio vampiro, prof? Ce lo presentò in una lezione memorabile dell'"ora di religione alternativa", ricorda?  Eravamo nella saletta a vedere film: tra gli altri "I figli del deserto" (Stallio e Ollio) e "Beau Geste" (Gary Cooper)... oltre naturalmente a "Nosferatu"... Ricordo anche "Tarzan" con Weissmueller, il "Mistero del falco", "Niagara" e la "Notte dei morti viventi" di Romero... non so se dimentico qualcosa. Ricordo poi un film in cui c'era una soggettiva da dentro una bara, ma non ricordo che film fosse...». Concludo queste testimonianze di affetto con quella di questa ragazza che dice:
«Così tante volte ho pensato di scrivere! Ma non sapevo l'indirizzo :-) Ci siamo conosciuti solo un anno, ma quello che ho imparato me lo son portato sempre dentro: il mio quadernone giallo e blu da grafomane. Per anni hanno cercato di farmelo disimparare, il pensiero critico. Ma tengo duro!»

Qual è il suo vampiro preferito?

Se intendiamo le storie sui vampiri, senz'altro lo splendido e sottile racconto Carmilla di LeFanu: una storia di una profondità sconcertante a cui dedico un parte apposita nel mio libro; se intendiamo il film, di certo quello il primo che vidi da bambino e che suscitò in me un tale stupore da poter dire che è stato forse il responsabile del mio interesse per il vampiri; mi riferisco a Dracula il vampiro (Horror of Dracula) di Terence Fisher del 1958 con due splendidi interpreti Chris Lee (Dracula) e Peter Cushing (Van Helsing) della gloriosa casa di produzione inglese “Hammer Film”.

Illustration of Carmilla from The Dark Blue by D. H. Friston, 1872

Seconda intervista  - Trasmissione Radio Luiss
"Uno Speciale sui Vampiri con Mario Barzaghi" - 29-10-2010.mp3

UNA LEZIONE SUL RISORGIMENTO DI MARIO BARZAGHI - La musica di Verdi e il Risorgimento (Video 0)

La musica di Verdi e il Risorgimento


Giuseppe Verdi, che nasce il 10 ottobre 1813 alle Roncole di Busseto nel parmense e muore a Milano il 27 gennaio del 1901, è una delle voci più alte del Risorgimento.
Il popolo italiano trovò nella sua musica momenti di alta espressione del proprio sentimento patriottico.
Questa voce è quella del coro del giovane Verdi.
Il coro del Nabucco, quello de I Lombardi alla prima crociata, quello dell’Ernani, o anche quello del Macbeth sono grandi esempi della capacità della musica di Verdi di esprimere con un linguaggio universale l’aspirazione popolare alla rivoluzione nazionale.
Non è un caso se il grande regista Luchino Visconti decise di aprire Senso – uno dei suoi film più significativi girato nel 1954 – proprio con un brano del Trovatore di Verdi rappresentato alla “Fenice” di Venezia nel 1866, cioè all’epoca della III guerra d’Indipendenza, mostrando l’entusiasmo patriottico che la sua musica suscitava negli spettatori italiani al cospetto di una platea di sbigottiti ufficiali austriaci.



Il critico musicale Massimo Mila in una sua opera dedicata a Verdi ha messo in risalto il rapporto tra la musica del grande maestro e il Risorgimento.
Vale la pena di leggere un interessante brano in cui Mila discute di tale rapporto.


Video 0 - Verdi e il Risorgimento

Giuseppe Verdi - Nabucco – “Va  pensiero” - dir. J. Levine – Metropolitan di New York

giovedì 14 aprile 2011

UNA LEZIONE SUL RISORGIMENTO DI MARIO BARZAGHI - V Fase: la spedizione dei Mille e Bilancio del Risorgimento (Video 6 e 7)

V FASE O DELLA RIPRESA DELL'INZIATIVA DEMOCRATICA



La V ed ultima fase del Risorgimento segna una ripresa dell’iniziativa democratica.
Innanzitutto, si ricorderà, durante la guerra erano avvenute sollevazioni, dovute a iniziative dei democratici, delle popolazioni della Toscana e dell’Emilia-Romagna (Modena, Parma, Legazioni pontificie) che, reclamando l’annessione al Piemonte, vanificavano il piano di un’Italia sotto la supremazia francese previsto dagli accordi di Plombiéres.
L’annessione al Piemonte di tali regioni si realizza, in effetti, di lì a poco con i plebisciti da cui emerge la volontà popolare di entrare a far parte del Regno sabaudo dichiarando decaduti i governi restaurati.
L’iniziativa democratica, a questo punto, entra in una fase di concertazione con re Vittorio Emanuele II che asseconda il progetto dei democratici Pilo e Crispi di mettere Garibaldi a capo di una spedizione militare composta di volontari (1162, in gran parte del nord Italia) per la liberazione del sud Italia dai Borboni.
L’occasione è la sollevazione di Palermo del 4 aprile 1860 che inizia dal convento della Gancia.
Garibaldi parte, così, il 5 maggio 1860 da Quarto (presso Genova) con i suoi Mille su due vapori, il Piemonte e Lombardo della Società Rubattino, e giunge a Marsala in Sicilia dove riesce a sbarcare grazie alla presenza di due navi da guerra inglesi.
Il 14 maggio emana il proclama di Salemi in cui dichiara di assumere la dittatura dell’isola in nome di Vittorio Emanuele.
Dopo uno scontro vittorioso a Calatafimi parte della popolazione siciliana decide di unirsi all’impresa e Garibaldi può conquistare Palermo.
Di qui, il 2 giugno, il generale lancia un proclama che invita la popolazione, specie contadina, a partecipare attivamente alla lotta promettendo una grande riforma agraria che, però, non vedrà mai la luce.
Ottenuto, così, l’appoggio popolare e un nutrito arruolamento di volontari Garibaldi sconfigge l’esercito borbonico a Milazzo.
Liberata la Sicilia riesce, dopo un periodo di difficoltà, ad attraversare lo stretto di Messina e ad iniziare la risalita della penisola che lo porta in breve tempo a Napoli dove entra il 7 settembre come liberatore mentre Francesco II si era rifugiato a Gaeta.
Il vittorioso scontro finale con l’esercito borbonico avviene l’1-2 ottobre sul fiume Volturno e, poco dopo, Garibaldi si incontra con Vittorio Emanuele II (che, nel frattempo, aveva disceso la penisola liberando le Marche e Umbria) a Teano il 26 ottobre 1860:
qui Garibaldi sceglie di offrire i territori conquistati (Sicilia e sud Italia) al re sabaudo accettando la soluzione della loro annessione al Piemonte attraverso i plebisciti, rinunciando così ad indire l’elezione di un’assemblea nazionale costituente come sostengono molti  suoi collaboratori. Con tali plebisciti la popolazione voterà l’annessione al regno dei Savoia.
Nonostante tale espressione di lealtà al re a Garibaldi non viene concesso di ricoprire per un anno la carica di luogotenente delle terre appena conquistate; gli viene, altresì, rifiutato che il suo esercito, composto, infine, da 20000 volontari provenienti dal centro-nord e 30000 dalla Sicilia e dal sud continentale, non venga disperso senza alcun riconoscimento del prezioso ruolo svolto.
Perciò, profondamente deluso, il 9 novembre Garibaldi si ritira in volontario esilio a Caprera.





Video 6 - La quinta fase del Risorgimento: ripresa dell'iniziativa democratica

TENTATIVO DI STILARE UN BILANCIO DEL RISORGIMENTO


I MILLE


Il 17 marzo 1861 si riunisce a Torino il primo Parlamento italiano che proclama re d’Italia “per grazia di Dio e volontà della nazione” Vittorio Emanuele di Savoia.
Questi sale al trono nazionale col titolo di Vittorio Emanuele II.
Ma essendo il “primo” re d’Italia, con la scelta di conservare la numerazione di “secondo” egli vuole indicare la propria continuità dinastica e l’estensione del suo regno all’Italia intera piuttosto che sottolinearne la novità assoluta.
Altri indizi di tale scelta di esaltare la cosiddetta piemontesizzazione dell’Italia sono:
1 - l’estensione della legislazione sabauda al nuovo regno;
2 - l’indicare quella appena apertasi non come la prima legislatura italiana, ma come l’ottava, cioè la successiva a quelle già trascorse del Regno di Sardegna.
Il Risorgimento si conclude, dunque, con un bilancio positivo - la nascita di uno Stato nazionale unitario e indipendente, ma con un limite intrinseco per quanto riguarda la modernità politica liberale e democratica.
Infatti, poco o nessun riconoscimento viene dato alla componente democratica che ha contribuito a realizzare l’unità nazionale in modo determinante con il volontariato che pure conta molte decine di migliaia di partecipanti.
Addirittura un uomo come Mazzini resta esiliato dall’Italia: la sua figura crea un tale imbarazzo al nuovo Stato che egli vive per lo più a Londra sotto la falsa identità di dottor Brown, lontano da quella patria per la cui liberazione aveva lottato tanto lungo e morendo in incognito a Pisa nel 1872.
Nonostante la grande lezione liberale di Cavour (che muore con un senso di sfiducia nella lealtà degli italiani verso le istituzioni parlamentari che aveva contribuito a valorizzare), lo  Stato italiano, come si è già detto, resta privo di una costituzione perfetta – in quanto lo Statuto albertino rimarrà l’unica Carta sino al 1948 –
e la base di legittimazione delle istituzioni politiche sarà ancora per molti anni irrisoria: meno del 2% vota alle prime elezioni, in quanto il godimento dei diritti politici resta legato alla ricchezza.
In sostanza delle due grandi componenti che hanno dato vita al nostro stato-nazione, quella sabauda piemontese e quella mazziniana democratica, solo la prima avrà spazio e riconoscimento nel nuovo ordinamento.
La seconda dovrà attendere ancora quasi 90 anni.

MASSIMO D'AZEGLIO - I miei ricordi

Massimo D'Azeglio

L'Italia da circa un secolo e mezzo s'agita, si travaglia per divenire un sol popolo e farsi nazione. Ha riacquistato il suo territorio in gran parte. La lotta con lo straniero è portata in buon porto, ma non è questa la difficoltà maggiore. La maggiore, la vera, quella che mantiene tutto incerto, tutto in forse, è la lotta interna. I più pericolosi nemici d'Italia non sono i Tedeschi, sono gl'Italiani.
E perché?
Per la ragione che gli Italiani hanno voluto fare un'Italia nuova, e loro rimanere gl'Italiani vecchi di prima, colle dappocaggini e le miserie  morali che furono ab antico la loro rovina; perché pensano a riformare l'Italia, e nessuno s'accorge che per riuscirvi bisogna, prima, che si riformino loro, perché l'Italia, come tutti popoli, non potrà divenir nazione, non potrà essere ordinata, ben amministrata, forte così contro lo straniero come contro i settari dell'interno, libera e di propria ragione, finché grandi e piccoli mezzani, ognuno nella sua sfera, non faccia il suo dovere, e non lo faccia bene, od almeno al meglio che può.
Ma a fare il proprio dovere, il più delle volte fastidioso, volgare, ignorato, ci vuol forza di volontà e di persuasione che il dovere si deve adempiere non perché diverte o frutta, ma perché è dovere; e questa forza di volontà, questa persuasione, è quella preziosa dote che con un solo vocabolo si chiama carattere, onde, per dirla in una parola sola, il primo bisogno d'Italia è che si formino italiani che sappiano adempiere al loro dovere; quindi si formino alti e forti caratteri. E pur troppo si va ogni giorno verso il polo opposto.
«l'Italia è fatta, gli Italiani sono da farsi».
Ed. originale 1876 – ed. Einaudi, Torino 1971, p. 4.


Video 7 - Tentativo di un bilancio del Risorgimento


domenica 10 aprile 2011

IL RISORGIMENTO: UNA LEZIONE di Mario Barzaghi - 16 marzo 2011 - Il progetto politico di Cavour e la Seconda guerra d'Indipendenza (Video 5)

La IV Fase del Risorgimento 
Diplomatico militare
Cavour
La quarta fase del Risorgimento vede protagonista re Vittorio Emanuele II (1820 - 1878) che, succeduto al trono di Carlo Alberto nel 1849, mantiene in Piemonte lo Statuto albertino concesso dal padre nel 1848 e chiama nel 1852 al governo del Paese Camillo Benso conte di Cavour  (1810 - 1861) di idee liberali e liberiste, che si adopera per fare del Regno sabaudo uno Stato ed una società moderni.
Lo SCOPO del progetto cavourriano è quello di fare dell’Italia uno Stato confederato sotto la direzione dei Savoia per cui la penisola sarebbe
dovuta risultare divisa in tre compagini statali.
Gli atti di Cavour volti a realizzare tale progetto furono:
1. un’azione politica tendente a fare del Piemonte una moderna potenza di medio rango. Perciò: a – contrasse alla Camera un’alleanza detta connubio tra il centro destra ed il centro sinistra che stabilizzasse il suo governo; b - fece prevalere un’interpretazione parlamentare dello Statuto albertino;
2. un’azione diplomatica con lo scopo sia di pubblicizzare la questione italiana in Europa, sia di realizzare un’alleanza politico militare con la Francia in vista di una guerra vincente contro l’Austria, che il Piemonte non poteva condurre da solo;
3. ancora un’azione politica volta a tessere un’alleanza con le forze democratiche italiane: ed è perciò che dal 1857 si forma la Società nazionale, cioè il partito unito dei democratici sotto la direzione di Manin e Farina.

La II Guerra d’indipendenza

 Battaglia di San Martino

 Il 26 aprile del 1859 inizia la II guerra d’indipendenza che terminerà il 12 luglio dello stesso anno.
Le truppe franco-piemontesi risultano vittoriose nelle decisive, ma sanguinose battaglie di Magenta, Solferino e San Martino (mentre i Cacciatori delle Alpi vincono a Varese e a San Fermo); ora, sia per l’alto numero delle perdite francesi,  che per le sollevazioni di Parma, Modena, Emilia-Romagna e Toscana le cui popolazioni reclamano l’annessione al Piemonte vanificando gli accordi di Plombiéres, Napoleone III decide di interrompere la guerra prima della conquista del Veneto e firma l’armistizio di Villafranca (12 luglio) con gli austriaci; poi, in base alla pace di Zurigo (10-11 novembre 1859), egli riceve la Lombardia che cede al Regno di Sardegna ricevendone in compenso Nizza e la Savoia.
A seguito dell’armistizio il Piemonte, non potendo proseguire da solo la guerra, è costretto a porre fine alle ostilità; Cavour, a causa di questo parziale fallimento del suo progetto (che prevedeva anche la conquista del Veneto), rassegna le dimissioni dal governo, ma torna al potere dal 21 gennaio 1860.
Il progetto diplomatico militare di Cavour ha, dunque, ottenuto un successo molto parziale.

Video 5: Il progetto politico di Cavour e la Seconda guerra d'Indipendenza

domenica 3 aprile 2011

IL RISORGIMENTO: UNA LEZIONE di Mario Barzaghi - 16 marzo 2011 - Il Federalismo e la Prima guerra d'Indipendenza (Video 4)

Terza fase del Risorgimento
Il Federalismo e la Prima Guerra d'Indipendenza

Carlo cattaneo

• Parallelamente al progetto rivoluzionario democratico mazziniano si sviluppò quello moderato liberale liberista federalista che non riconosceva nel popolo il protagonista dell’azione politica, ma che si rivolgeva piuttosto alla borghesia quale classe che poneva in primo piano interessi economici. 
• SCOPI di tale progetto erano infatti quelli di:
• 1 - ottenere un mercato comune italiano, cioè fare dell’Italia un’unica area di scambio che superasse la frammentazione doganale dei vari stati che rendeva difficoltosa una libera circolazione delle merci anche per via della pluralità dei sistemi di monetazione e delle unità di misura.
• 2 - fare dell’Italia uno Stato confederato (cioè, propriamente una coalizione di Stati sovrani simile all’attuale unità europea coesa dalla moneta unica e da un mercato in cui circolano liberamente merci e lavoro).
• Si elaborarono due proposte fondamentali per cui questo Stato si poneva: a. sotto la presidenza del papa (Gioberti); b. sotto la direzione dei Savoia (Balbo).
I MEZZI per realizzare tale Stato confederato dovevano essere:
1. Un’attività diplomatica volta a convincere i vari principi restaurati dell’opportunità economica e politica di un simile progetto;
2. Il cui ostacolo principale restava, però, l’egemonia austriaca sulla penisola.

• Emersero due progetti politici principali:
• Il primo fu quello del Neoguelfismo dell’abate Gioberti che lo definì nell’opera Del primato morale e civile degli italiani, scritta nel 1843; il secondo progetto federalista fu quello di Cesare Balbo che lo espose ne Le speranze d’Italia, sempre del 1843. Accanto a tali progetti si deve porre la concezione di un federalismo democratico repubblicano di Carlo Cattaneo.

Prima guerra d’indipendenza


Le Cinque giornate di Milano: le barricate

Gli eventi che dettero corpo al progetto federalista furono innanzitutto la spontanea rivolta popolare delle Cinque giornate di Milano (del 18-22 marzo 1848), per cui il comandante dell'esercito del Lombardo-Veneto, feldmaresciallo Radetzky, si vide costretto ad abbandonare la città.
Tale rivolta innestò la Prima guerra d’indipendenza che sembrò realizzare appunto il progetto federalista.
Il giorno dopo la conclusione delle Cinque giornate di Milano, il re di Sardegna Carlo Alberto dichiarò, infatti, guerra all'Austria dando inizio alla Prima guerra di indipendenza che coinvolse gli altri principi e si svolse in due fasi: marzo-agosto 1848, marzo 1849: la guerra iniziò dunque come guerra federale di tutti gli stati italiani contro l’Austria: infatti, ai 30.000 soldati piemontesi si aggiunsero 7.500 pontifici, 7.000 toscani e 16.000 napoletani.
Oltre ad essi vanno ricordati i 450 studenti pisani e senesi che assieme ai loro professori combatterono nella battaglia di Curtatone e Montanara a sottolineare come il Risorgimento sia attraversato da un’importante corrente di volontariato popolare.
• Ma quando emerse che Carlo Alberto concepiva la guerra come mezzo di espansione dei suoi domini, gli altri sovrani si ritirano ed egli fu sconfitto prima a Custoza, nel luglio ‘48 poi, a Novara, nel ’49.


Video: Il Federalismo e la Prima guerra d'Indipendenza