domenica 20 marzo 2011

LEGGE NATURALE E LEGGE POSITIVA SECONDO ARISTOTELE

               
 La definizione di Aristotele secondo cui «l'uomo è un animale politico per natura» si colloca entro una generale concezione giusnaturalistica, nel senso antisofistico per cui una legge non deve venir intesa come frutto di pura convenzione, ma come avente un fondamento nella natura umana (diritto naturale).
                In base a questo criterio le leggi si possono dividere in norme positive e naturali. Le prime sono effetto dell'atto legislativo “positivo” di un'autorità sovrana riconosciuta entro la polis, le seconde derivano da un ordinamento non stabilito dall'uomo, ma originariamente presente in natura. Per chiarire la differenza tra legge naturale e positiva possiamo servirci del nucleo della tragedia di Sofocle Antigone. A Tebe i fratelli Eteocle e Polinice si sono reciprocamente uccisi, ma re Creonte ha ordinato che Polinice non venga sepolto. Antigone, loro sorella, trasgredisce l’ordine di Creonte e seppellisce suo fratello. Infatti, Antigone sostiene che le leggi divine le hanno conferito il diritto di seppellire il fratello Polinice che il re di Tebe vuole, invece, sia lasciato insepolto. Così, per punire Antigone di aver trasgredito il suo decreto, la fa murare viva. Come si vede, la tragedia rappresenta propriamente il conflitto tra una norma positiva, pienamente legale, ed il naturale sentimento di pietà verso il fratello morto che si impone ad una sorella al di là di ogni ordinamento umano.
In un passo della tragedia si legge il seguente dialogo tra il re e la fanciulla:
«Creonte - E tu hai osato sovvertire queste leggi?
Antigone - Sì, perché non fu Zeus a impormele. Né la Giustizia, che siede laggiù tra gli dei sotterranei, ha stabilito queste leggi per gli uomini. Io non credevo, poi, che i tuoi divieti fossero tanto forti da permettere a un mortale di sovvertire le leggi non scritte, inalterabili, fisse degli dei: quelle che non da oggi, da ieri vivono, ma eterne: quelle che nessuno sa quando comparvero. Potevo io ­per paura di un uomo, dell'arroganza di un uomo, venir meno a queste leggi davanti agli dei? Ben sapevo di essere mortale, e come no?, anche se tu non l’hai decretato, sancito! Morire adesso, prima del tempo, è un guadagno per me. Chiunque vive fra tante sciagure, queste in cui vivo io, continue, come potrà non ritenersi fortunato, contento, se muore? Subire la morte quasi non è un dolore, per me. Sofferto avrei invece, e senza misura, se avessi lasciato insepolto il corpo morto di un figlio di mia madre. Il resto non conta nulla. A te sembrerà ch’io agisca da folle. Ma chi mi accusa di follia, forse è lui, il folle.» [sofocle, Antigone, vv. 559-585, trad. it. E. Cetrangolo, in., Tragici greci, 2 voll., vol. I, Firenze 19899].
                Il senso delle parole di Antigone è, appunto, quello di esprimere drammaticamente il contrasto fra legge naturale, o divina, e norma emanata dallo stato sovrano: ella ha voluto obbedire alla prima ed ora è consapevole che subirà il castigo per mano dell’uomo. Da cosa deriva questo contrasto? Perché Antigone deve subire una punizione se è universalmente evidente che sia giusto seppellire un fratello? Cosa renda legittime una norma positiva? Le possibilità sono due: o essa ha una fonte di legittimità a base volontaristica per cui si afferma che il sovrano ha diritto di emanare qualsiasi norma in base alla propria volontà, oppure ha un fondamento naturale, cioè deriva da una legge non scritta “imposta” dalla natura. Dunque o la fonte del diritto positivo è la natura, o le leggi sono convenzioni istituite da un sovrano che le ha stabilite di sua volontà.
                Chi, come Aristotele, afferma che «ogni città è un'istituzione naturale» e che essa è il fine delle forme comunitarie che la precedono, la famiglia e il villaggio, afferma, nel contempo, che le leggi hanno un fondamento naturale: costui sarà, dunque, un giusnaturalista poiché sostiene che esiste un ordinamento naturale a cui non è lecito né conveniente contravvenire. Ciò comporta che se un sovrano emana una norma che impedisce ad una sorella di seppellire il proprio fratello, violando un principio naturale, tale norma non potrà avere valore: secondo questo criterio, dunque, le norme positive non devono contravvenire al diritto naturale. Se, però, non viene riconosciuto alcun diritto naturale antecedente alla volontà del sovrano, allora tale norma ha piena validità, purché emanata in termini formalmente corretti da una sovranità legale, dal momento che non esiste alcun metro superiore in base a cui misurare il suo valore.
                Tutto il discorso aristotelico è, in certo senso, impregnato di giusnaturalismo. Ad ogni livello della phýsis sono, infatti, presenti leggi che, regolando il divenire degli enti, le conferiscono un carattere cosmico: in tal modo è, ovunque, garantita realtà alla legge naturale. Il fondamento stesso del pensiero di Aristotele consiste, dunque, nell'idea secondo cui se c'è cosmo c'è legge e questa è naturalmente efficace per ogni aspetto del divenire. Così è evidente che tale principio deve valere anche entro la polis. Le sue norme positive hanno, dunque, sempre e comunque un fondamento naturale e sovrano è colui che riveste il ruolo di garante del microcosmo politico, che deve, cioè, governare in armonia con la razionalità universale e con i suoi fini naturali. In altre parole: sovrano della polis è colui che vuole ciò che è giusto e non che sia giusto ciò che il sovrano vuole. La prima concezione si può dire cosmica, in quanto prescrive che la volontà sovrana si attenga al diritto naturale e che le sia inibito di agire in contrasto con le sue norme, mentre la seconda, in base al senso ora stabilito, si può chiamare acosmica, in quanto ritiene che sia piuttosto tale volontà a determinare ogni volta il giusto e l'ingiusto.

2 commenti:

  1. L'evoluzione spirituale dell'essere umano rientra nella legge naturale???

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  2. aiuto perfavore. devo consegnare la differenza tra una legge naturale e una positiva entro domani e non lo trovo nel testo. ;-;

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