giovedì 31 marzo 2011

IL RISORGIMENTO - UNA LEZIONE di Mario Barzaghi - La Carboneria e la Giovane Italia (Video 3)

Prima fase del Risorgimento
La Carboneria e i suoi moti insurrezionali


La prima fase del Risorgimento si dice settaria e costituzionalista scopi sono quelli di ottenere una costituzione elargita da un monarca restaurato con i seguenti mezzi:
• 1. Società segrete cospirative, la maggiore delle quali fu la Carboneria;
• 2. Insurrezioni militari.

Gli eventi che caratterizzarono questa fase furono tre:

• 1. Il primo per cui, sulla spinta della rivolta militare spagnola di Cadice che ottiene la Costituzione, scoppia il Moto di Napoli del 1820 condotto dagli ufficiali della Carboneria Morelli e Silvati che costringe il re borbone Ferdinando I a concedere la Costituzione.

2. Vi è poi il  il Moto del Piemonte del 1821 per cui, a seguito dell’ammutinamento di reparti dell’esercito, re Vittorio Emanuele I abdica in favore del fratello Carlo Felice, ma - in sua assenza - diventa reggente  il principe Carlo Alberto che - di simpatie liberali - si impegna a concedere la Costituzione, ma viene sconfessato dallo zio che rientrato in Piemonte reprime la rivolta.
3. Abbiamo infine Moto di Modena del 1831 dove un esponente della borghesia imprenditoriale, Ciro Menotti, si accordò con il duca di Modena Francesco IV d’Este per dare vita ad un moto liberale, ma, dinanzi all’opposizione austriaca, con un voltafaccia, il duca fece arrestare Menotti per cui anche questa iniziativa fallì. 

Seconda fase del Risorgimento
Mazzini e la Giovane Italia


La seconda fase del Risorgimento si dice mazziniana democratica e insurrezionale in quanto progettata dal grande patriota democratico genovese Giuseppe Mazzini.

Animato da una concezione rousseauiana di nazione, egli riteneva che il popolo dovesse farsi protagonista della liberazione nazionale attraverso iniziative armate.
SCOPI del progetto mazziniano erano quelli di un’Italia unita e indipendente, con un superamento quindi dell’equilibrio sancito a Vienna, e costituita in uno Stato repubblicano con un superamento, dunque, degli assetti politici restaurativi in favore della nascita nel nostro Paese della modernità politica.
I MEZZI con cui si sarebbero dovuti conseguire tali scopi erano:
• primo, la costituzione di una società segreta nelle persone, ma pubblica nelle finalità;
• secondo, l’organizzazione di insurrezioni armate da parte di un’avanguardia patriottica miranti a sollecitare la sollevazione di tutto popolo italiano.
1 - I MOTI DELLA GIOVANE ITALIA
• 1833: congiura nel Regno di Sardegna;
• 1834: insurrezione nella Savoia e a Genova;
• 1843 e 45: insurrezioni nelle Legazioni pontificie e a Rimini;
• 1844: spedizione in Calabria dei fratelli Bandiera;
• 1857: spedizione di Sapri di Carlo Pisacane.
La Repubblica romana del 1849

Accanto ai moti della Giovane Italia va posto il grande episodio della Repubblica romana fondata nel 1849 che fu governata dal triunvirato di Mazzini, Saffi e Armellini e durante la quale venne scritta la prima Costituzione democratica italiana: la Repubblica crollò rapidamente per l’intervento francese a difesa del papa, nonostante la sua strenua difesa da parte di un manipolo di volontari organizzata da Giuseppe Garibaldi (Nizza, 4 luglio 1807 – Isola di Caprera, 2 giugno 1882) sul Gianicolo. 

Video 3: Carboneria, Giovane Italia e Repubblica Romana

sabato 26 marzo 2011

IL RISORGIMENTO - UNA LEZIONE di Mario Barzaghi - La Restaurazione (Video 2)

LA RESTAURAZIONE IN EUROPA E IN ITALIA - 1815

L'Italia restaurata del 1815

• Il Congresso di Vienna è l’evento storico contro cui lottò il Risorgimento per realizzare l’Unità d’Italia.
• Infatti, nel 1815 le potenze europee vincitrici di Napoleone, Austria, Prussia, Russia e Inghilterra, si riunirono a Vienna per restaurare l’Europa, e di conseguenza l’Italia, in base ai principi dell’ancien régime che la Rivoluzione francese aveva sconvolto in nome dei valori della libertà e dell’eguaglianza.
• I vincitori stabilirono, cioè, di restaurare in Europa principi politici premoderni tanto in politica interna, quanto in politica estera, in luogo di quelli moderni che si erano diffusi con l’impero napoleonico.
In questo quadro restaurativo quello che qui interessa è che l’Italia venne sottoposta al dominio austriaco per cui, ad eccezione del regno dei Savoia e dello Stato della Chiesa:
• tutti i territori italiani furono gestiti come feudi,
• o direttamente dagli Asburgo,
• o da famiglie aristocratiche che avevano rapporti di parentela con essi (cioè secondo il principio medievale del rapporto beneficio-vassallaggio)
• quindi tali territori venivano considerati come un patrimonio privato e non come res publica.
Oltre a ciò si deve notare che all’inizio dell’800 vi erano 2 idee di NAZIONE: quella di Rousseau e quella di Herder, francese-illuministica, l'una, tedesca-romantica, l'altra, e democratica e naturalistica-organicistica
• Per la prima concezione, quella rousseauiana, la nazione è una comunità storica cioè si sviluppa quando e se un popolo prende coscienza della propria identità e perciò elabora il progetto politico di realizzare uno Stato nazionale in cui si autogoverna: quindi, italiani o tedeschi non si nasce, ma si diventa.
• Per la seconda, quella herderiana, la nazione è già data per natura, per cui è descrivibile etnograficamente (in base alle tradizioni: costumi, lingua ecc.) e biologicamente (in base ai caratteri fisici): in tal modo è per natura che vi sono i popoli: dunque, francesi o giapponesi, semplicemente, si nasce.
• Nella concezione herderiana, dunque, non vi è spazio per un progetto politico democratico:
• Secondo la concezione democratica, infatti, per essere italiani non basta esser nati in Italia, ma lo si deve diventare in base alla maturazione della capacità di autogovernarsi,
• cioè in base al famoso principio stabilito dal filosofo Immanuel Kant del sapere aude, per cui si deve avere il coraggio di usare il proprio intelletto senza la guida di un altro: è questo il principio di autonomia intellettuale, morale e politica che sta a fondamento del moderno progetto illuministico di emancipazione del genere umano.



IL RISORGIMENTO: UNA LEZIONE di Mario Barzaghi - Il concetto di Risorgimento (Video 1)


IL CONCETTO DI RISORGIMENTO
Repubblica Cispadana 1796-97

Il 17 marzo del 1861, un secolo e mezzo fa, si riunì il primo parlamento italiano a Torino per proclamare il regno d’Italia.
Questo evento è il risultato di un lungo e complesso processo che ha nome Risorgimento, parola suggestiva e romantica che evoca il ritorno alla vita: in questo caso di un’intera comunità nazionale, il popolo italiano. 
"Risorgimento" significa infatti:
I - da un lato, la progressiva presa di coscienza di parti sempre più consistenti del popolo italiano:
a - di costituire un’identità nazionale;
b - e di avere, dunque, diritto ad autogovernarsi,
II - dall’altro, la conseguente elaborazione di progetti politici liberali e/o democratici volti a creare uno Stato nazionale italiano 
esprimendo così la concezione di  nazione  elaborata da Rousseau;
Tali progetti politici portano alla rivendicazione, prima, alla realizzazione, poi di due obiettivi politici essenziali:
1. l’INDIPENDENZA dalla dominazione straniera (cioè da quella austriaca);
2. l’UNITÀ NAZIONALE che si concretizzò nel 1861 in uno Stato monarchico centralizzato sotto la dinastia dei Savoia 
Pertanto si definisce Risorgimento la fase della storia d’Italia che va dal 1796 al 1861 in cui – attraverso una serie di vicende politiche, diplomatiche, militari e intellettuali – si conseguirono, infine, gli obiettivi dell’indipendenza e dell’unità nazionali,
ma non si conseguì integralmente un altro importante obiettivo risorgimentale: quello della modernità politica.  Nel 1861 il nuovo Stato nazionale italiano non aveva, infatti, ancora realizzato una completa modernità politica, cioè non aveva raggiunto una completa legittimazione della sovranità dal basso secondo i principi giusnaturalistici della politica moderna. In effetti, nel 1861 l’Italia non fu dotata di un contratto sociale originario perfetto, cioè di una costituzione come quella elaborata dalla Assemblea nazionale costituente italiana tra il 1946 e il 1947 e che entrerà in vigore nel 1948.

domenica 20 marzo 2011

"Il Mito del Vampiro" (Rubbettino, 2010), un saggio di Mario Barzaghi (I parte)

Francisco Goya - No te escaparas

Il vampiro è un campo di forze spirituali che in Occidente ha 280 anni (infatti compare in Europa verso il 1730) per cui è un mito moderno.
La narrazione del vampiro implica, peciò, che ci si avventuri in una ricostruzione della modernità: cosa sia un tale periodo della storia del mondo lo dice il suo stesso nome derivato dal termine “moderno” coniato in latino nel VI secolo fondendo i termini “modo” e “hodie”, a indicare una vita che si svolge sempre e comunque in base a ciò che è “attuale”, cioè  “al modo d’oggi” o "alla moda".
Che vi sia tutta un’epoca in cui si vive unicamente “al modo d’oggi” o "alla moda"  implica che in essa è stato adottato un giudizio di valore: quello per cui ciò che avviene oggi sia sempre ogni volta buono, bello, giusto, vero, ma anche che, non appena trascorso, debba scomparire nel nulla del passato in quanto questo viene inteso come sinonimo di superato, sorpassato, fuori moda e, come tale, subito condannato alla damnatio memoriae. Tutto questo la dice lunga sul tono spirituale del nostro mondo la cui filosofia della storia sancisce, dunque, che lo scorrere temporale rappresenti un procedere positivo, cioè un incremento di essere.
Secondo noi questo tono spirituale moderno può essere interpretato in modo adeguato attraverso il mito. La produzione di miti non è riservata ad epoche trascorse in cui il pensiero logico/scientifico non aveva ancora raggiunto una propria maturazione, bensì essa resta una delle attività fondamentali anche dell’anima moderna poiché questa elabora alcune immagini di sogno in cui si sintetizza l’essenza della propria epoca.
Riteniamo che tali immagini siano in grado di testimoniare sotto forma di dramma mitico lo sviluppo della modernità, e pertanto che la via del mito possa offrire scoperte che la via della critica concettuale riflessiva non è stata in grado di portare a termine a causa dei suoi vincoli originari col procedimento logico/metodico. L’immagine mitica, non vincolata al metodo, ma libero frutto dell’immaginazione, può, quindi, offrire un accesso privilegiato al senso dell’essere moderno.
Tra le immagini mitiche in grado di esprimere aspetti fondamentali del sentire moderno vi sono, a nostro avviso, quelle di Faust, del Vampiro e dell'Incubo Persecutore. Di qui la scelta di occuparci, come indica il titolo di questo libro, del Mito del vampiro, cioè di un oggetto dell’immaginazione, il vampiro, trattandolo sotto specie mitica, cioè non come fosse - secondo la corrente vulgata - una capricciosa o arbitraria elaborazione della fantasia di un autore di racconti dell’orrore, ma come una manifestazione universale e necessaria dello spirito della civiltà di un’epoca, cioè, appunto, come un mito: si tratta qui di decifrare il vampirismo in quanto mito, in quanto il mito offre già di per sé una sintesi a priori dell'immaginazione trascendentale, cioè un contenuto oggettivo: una rappresentazione pre-concettuale oggettiva universale e necessaria, non più particolare\psicologica.
Si deve, poi, osservare che il sottotitolo del libro, Da demone della morte nera a spettro della modernità, vuol dire “dall’arcaico al moderno”, cioè dal vampiro quale immagine della disgregazione della “natura prima”, o della peste, così come si configura nel folklore, a quella della disgregazione della “natura seconda, cioè di una pestilenza spirituale intervenuta storicamente nel mondo moderno.
Ed ecco che infatti il significato del vampirismo passa da quello di rituale esorcistico primordiale della peste, a spettro di una pestilenza spirituale di carattere storico.
Ecco le date:
Ø      1732: la cosa di cui si tratta viene ad avere per la prima volta un nome in Occidente, quello di vampiro, derivato – forse – dal serbo vampyr;
Ø      1749: il nome vampiro viene dato dal naturalista francese Buffon ad un animale americano che lecca il sangue: da allora il mostro della peste diventa un animale;
Ø      1741-1754-1764: l’inglese Charles Forman, lo svizzero Rousseau e il francese Voltaire – nell’ordine – fanno del vampiro l’immagine di alcune categorie sociali indicate come malvagie: i politici, i ricchi, i preti, gli sfruttatori del popolo;
Ø      1819-1872-1897: la figura del vampiro viene sviluppata nella letteratura inglese quale espressione di un sentimento di piacevole disgusto per il mondo moderno e per i rapporti affettivi e morali che in esso vanno configurandosi. (Segue II parte)


T. Dreyer - Vampyr (1932) part 1

LEGGE NATURALE E LEGGE POSITIVA SECONDO ARISTOTELE

               
 La definizione di Aristotele secondo cui «l'uomo è un animale politico per natura» si colloca entro una generale concezione giusnaturalistica, nel senso antisofistico per cui una legge non deve venir intesa come frutto di pura convenzione, ma come avente un fondamento nella natura umana (diritto naturale).
                In base a questo criterio le leggi si possono dividere in norme positive e naturali. Le prime sono effetto dell'atto legislativo “positivo” di un'autorità sovrana riconosciuta entro la polis, le seconde derivano da un ordinamento non stabilito dall'uomo, ma originariamente presente in natura. Per chiarire la differenza tra legge naturale e positiva possiamo servirci del nucleo della tragedia di Sofocle Antigone. A Tebe i fratelli Eteocle e Polinice si sono reciprocamente uccisi, ma re Creonte ha ordinato che Polinice non venga sepolto. Antigone, loro sorella, trasgredisce l’ordine di Creonte e seppellisce suo fratello. Infatti, Antigone sostiene che le leggi divine le hanno conferito il diritto di seppellire il fratello Polinice che il re di Tebe vuole, invece, sia lasciato insepolto. Così, per punire Antigone di aver trasgredito il suo decreto, la fa murare viva. Come si vede, la tragedia rappresenta propriamente il conflitto tra una norma positiva, pienamente legale, ed il naturale sentimento di pietà verso il fratello morto che si impone ad una sorella al di là di ogni ordinamento umano.
In un passo della tragedia si legge il seguente dialogo tra il re e la fanciulla:
«Creonte - E tu hai osato sovvertire queste leggi?
Antigone - Sì, perché non fu Zeus a impormele. Né la Giustizia, che siede laggiù tra gli dei sotterranei, ha stabilito queste leggi per gli uomini. Io non credevo, poi, che i tuoi divieti fossero tanto forti da permettere a un mortale di sovvertire le leggi non scritte, inalterabili, fisse degli dei: quelle che non da oggi, da ieri vivono, ma eterne: quelle che nessuno sa quando comparvero. Potevo io ­per paura di un uomo, dell'arroganza di un uomo, venir meno a queste leggi davanti agli dei? Ben sapevo di essere mortale, e come no?, anche se tu non l’hai decretato, sancito! Morire adesso, prima del tempo, è un guadagno per me. Chiunque vive fra tante sciagure, queste in cui vivo io, continue, come potrà non ritenersi fortunato, contento, se muore? Subire la morte quasi non è un dolore, per me. Sofferto avrei invece, e senza misura, se avessi lasciato insepolto il corpo morto di un figlio di mia madre. Il resto non conta nulla. A te sembrerà ch’io agisca da folle. Ma chi mi accusa di follia, forse è lui, il folle.» [sofocle, Antigone, vv. 559-585, trad. it. E. Cetrangolo, in., Tragici greci, 2 voll., vol. I, Firenze 19899].
                Il senso delle parole di Antigone è, appunto, quello di esprimere drammaticamente il contrasto fra legge naturale, o divina, e norma emanata dallo stato sovrano: ella ha voluto obbedire alla prima ed ora è consapevole che subirà il castigo per mano dell’uomo. Da cosa deriva questo contrasto? Perché Antigone deve subire una punizione se è universalmente evidente che sia giusto seppellire un fratello? Cosa renda legittime una norma positiva? Le possibilità sono due: o essa ha una fonte di legittimità a base volontaristica per cui si afferma che il sovrano ha diritto di emanare qualsiasi norma in base alla propria volontà, oppure ha un fondamento naturale, cioè deriva da una legge non scritta “imposta” dalla natura. Dunque o la fonte del diritto positivo è la natura, o le leggi sono convenzioni istituite da un sovrano che le ha stabilite di sua volontà.
                Chi, come Aristotele, afferma che «ogni città è un'istituzione naturale» e che essa è il fine delle forme comunitarie che la precedono, la famiglia e il villaggio, afferma, nel contempo, che le leggi hanno un fondamento naturale: costui sarà, dunque, un giusnaturalista poiché sostiene che esiste un ordinamento naturale a cui non è lecito né conveniente contravvenire. Ciò comporta che se un sovrano emana una norma che impedisce ad una sorella di seppellire il proprio fratello, violando un principio naturale, tale norma non potrà avere valore: secondo questo criterio, dunque, le norme positive non devono contravvenire al diritto naturale. Se, però, non viene riconosciuto alcun diritto naturale antecedente alla volontà del sovrano, allora tale norma ha piena validità, purché emanata in termini formalmente corretti da una sovranità legale, dal momento che non esiste alcun metro superiore in base a cui misurare il suo valore.
                Tutto il discorso aristotelico è, in certo senso, impregnato di giusnaturalismo. Ad ogni livello della phýsis sono, infatti, presenti leggi che, regolando il divenire degli enti, le conferiscono un carattere cosmico: in tal modo è, ovunque, garantita realtà alla legge naturale. Il fondamento stesso del pensiero di Aristotele consiste, dunque, nell'idea secondo cui se c'è cosmo c'è legge e questa è naturalmente efficace per ogni aspetto del divenire. Così è evidente che tale principio deve valere anche entro la polis. Le sue norme positive hanno, dunque, sempre e comunque un fondamento naturale e sovrano è colui che riveste il ruolo di garante del microcosmo politico, che deve, cioè, governare in armonia con la razionalità universale e con i suoi fini naturali. In altre parole: sovrano della polis è colui che vuole ciò che è giusto e non che sia giusto ciò che il sovrano vuole. La prima concezione si può dire cosmica, in quanto prescrive che la volontà sovrana si attenga al diritto naturale e che le sia inibito di agire in contrasto con le sue norme, mentre la seconda, in base al senso ora stabilito, si può chiamare acosmica, in quanto ritiene che sia piuttosto tale volontà a determinare ogni volta il giusto e l'ingiusto.

sabato 19 marzo 2011

SALÒ O LE 120 GIORNATE DEL SIGNOR B.

Nel suo ultimo film  - Salò o le 120 giornate di Sodoma – Pasolini colse in modo profetico la degradazione morale che si va configurando nel nostro mondo: per rappresentare tale stato di cose ebbe l’intuizione di fondere il crepuscolo del fascismo nella Repubblica sociale e il testo di Sade Le 120 giornate di Sodoma. Un’espressione particolarmente “felice” di tale degradazione del tessuto etico è oggi il personaggio del signor B. nello spettacolo quotidiano del suo dire e del suo fare, proprio nel senso per cui lo “spettacolo” giunge con tale figura a prendere il posto della sostanza morale. Si giunge così ad una oggettiva corrispondenza estetica tra il protagonista del film di Pasolini - Il Duca Blangis, interpretato da Paolo Bonacelli - e il signor B. quale effettivo esecutore dello spirito delle 120 giornate pasoliniane.

Vediamo allora se si può ricostruire lo spettacolo, appunto, di tale corrispondenza.
Nota:  il film di Pasolini segue la falsariga del romanzo del Marchese de Sade, attraverso la ripetizione infinita del numero magico 4. Quattro "Signori", rappresentanti di tutti i Poteri, il Duca (quello nobiliare), il Monsignore (quello ecclesiastico), Sua Eccellenza il Presidente della corte d'Appello (quello giudiziario) e il Presidente Durcet (quello economico), si riuniscono in una villa assieme a quattro Megere, ex meretrici, e a una schiera di giovani ragazzi e ragazze, catturati tra i figli dei partigiani, o partigiani essi stessi, in una sontuosa e cadente villa, isolata dal mondo dal presidio dei soldati Repubblichini e delle SS. Nella villa, per centoventi giorni, sarà vigente per tutti un regolamento sottoscritto dai quattro Signori, con il quale essi sono autorizzati a disporre indiscriminatamente e liberamente della vita delle loro giovani vittime, le quali dovranno tenere un comportamento di assoluta obbedienza nei confronti dei Signori e delle loro regole. Ogni insubordinazione o pratica religiosa, verrà punita con la morte.  Le giornate si svolgono attraverso una struttura infernale dantesca, che corrisponde alle quattro parti (un Antinferno e tre Gironi), in cui è diviso il film. Le tre Megere, nella mansione di narratrici, hanno il compito di raccontare le proprie perversioni sessuali nella cosiddetta Sala delle Orge, con lo scopo di eccitare i Signori e contemporaneamente di "educare" i ragazzi alla soddisfazione dei loro appetiti sessuali. Le narratrici sono accompagnate al pianoforte da una quarta donna, che ha il compito di estetizzare ulteriormente il loro racconto crudo, pornografico e compiaciuto.

Il cosiddetto “Girone della merda” in Salò o le 120 giornate di Sodoma

Salò o le 120 giornate di Sodomia: “Signora Maggi, ci mostri la sua parte migliore!”


Le 120 giornate del signor B.: Nicole M. con Emilio F.
M. dice ad F.: "Pompini a trecento euro. La notte a trecento euro.”


Il signor B. trova che lo stupro è inevitabile


Salò o le 120 giornate di Sodoma – La barzelletta sul dottore e la famiglia


Il signor B. racconta una Barzelletta su Hitler


Salò o le 120 giornate di Sodoma – Ora ti faccio ridere!


Salò o le 120 giornate di Sodoma - Nonsense: Lies and Laughters


Il signor B. e la nipote di Mubarak:
La signorina R. ad Antonio P.
Antonio P.: "Come lo chiami?" – R.: "Papi. Noemi è la pupilla, io sono il culo”


Il signor B. racconta una barzelletta sugli ebrei: bazzecole

giovedì 17 marzo 2011

IL RISORGIMENTO: UNA LEZIONE di Mario Barzaghi - 16 marzo 2011 - INDICE

Istituto Superiore Montessori Roma

MONTESSORI DAY

16 marzo 2011

IL RISORGIMENTO

a cura di Mario Barzaghi

  • PRIMA PARTE - UNA LEZIONE SCANDITA IN SETTE VIDEO*
- concetto di Risorgimento (video 1)
- la Restaurazione in Italia (video 2)
- le fasi del Risorgimento (video 3-6)
- valutazione del Risorgimento (video 7)
  • SECONDA PARTE - LA MUSICA DI VERDI E IL RISORGIMENTO
- Verdi e il Risorgimento nell'interpretazione di Massimo Mila (video 0)
- L. Visconti - Senso - Scena di apertura: Il trovatore di Verdi
- G. Verdi - Nabucco - Coro degli ebrei (Va pensiero)
- G. Verdi - I Lombardi alla Prima crociata - Coro: O signore, dal tetto natio
- G. Verdi - Ernani - Coro: Si ridesti il leon di Castiglia
- G. Verdi - Macbeth - Coro: Patria oppressa
- G. Verdi - I vespri siciliani - Renata Scotto: Coraggio, su coraggio
- L. Visconti - Il gattopardo - Sequenza del valzer di Verdi
- Canzoni popolari del Risorgimento eseguite dal Coro M. Novaro di Santona
- L’Inno di Mameli- cantato a “La Scala” di Milano – dir. Da Riccardo Muti
http://www.istitutomontessori.it/index.php?option=com_content&view=category&layout=blog&id=121&Itemid=115&lang=it

* I video della lezione sono qui pubblicati nei successivi post sul Risorgimento