Vogliamo
qui trattare il liberismo
quale teoria economica che considera l'arricchimento privato
illimitato come un bene pubblico alla luce del concetto di ideologia.
Ma è evidente che l'argomentazione
critica che
qui impieghiamo per
smontare le mistificazioni del liberismo è perfettamente in grado di
colpire
qualsiasi pretesa di spacciare per
universali interessi particolari.
Fachiro sospeso nell'aria
Esce
in questi giorni per il pubblico di lingua italiana la versione
aggiornata del libro di Arthur C. Brooks, La
via della libertà,
nel quale si afferma che «Come fautori della libera iniziativa,
possiamo trovare conforto nel sapere che i fatti e i dati sono dalla
nostra parte, ma, se vogliamo prevalere, dobbiamo prima dimostrare
che anche gli
argomenti morali sono con noi».
A tale proposito i curatori
dell'opera osservano: «In
un momento storico nel quale il capitalismo non gode di grande
popolarità, Arthur Brooks, presidente dell’“American Enterprise
Institute” di Washington, DC, si propone di mettere in luce la
natura morale del sistema fondato sulla libera iniziativa. Ne La
via della libertà,
l’autore spiega come il capitalismo di mercato esalti le
individualità, produca equità di opportunità, garantisca mobilità
sociale, aiuti gli svantaggiati, predisponga alla carità e
corrisponda alle preoccupazioni morali delle persone.» Insomma: una
vera panacea.
Ma com'è possibile un effetto talmente meraviglioso da
riuscire a santificare anche l'egoismo più gretto? Rispondono i
curatori asserendo che «La
chiave di volta è il “successo conquistato”, che avvicina alla
felicità e alla realizzazione personale più dell’assistenzialismo,
capace solo di portare verso una spirale di dipendenza dallo Stato
che non giova né all’animo umano né al tessuto sociale.»
Fachiro sospeso
Nel
leggere questo repertorio deamicisiano di edificanti intenzioni e
miracolose capacità di provocare la felicità generale da parte
dell'arricchimento privato viene in mente la favoletta che narrava il
grande sociologo Vilfredo Pareto per spiegare ai suoi studenti il
concetto di ideologia in quanto mascheratura, appunto, di interessi
privati così da farli apparire come pubblici in modo di ottenere la
convinta collaborazione al loro raggiungimento proprio di coloro che
risultano più danneggiati da tale conseguimento. «Se il gatto
acchiappa il topo e se lo mangia», diceva Pareto, «non c'è alcuna
ideologia perché i fatti sono esposti così come sono e il gatto
appare per quel che è: un cacciatore e divoratore di topi. Se,
invece, una volta catturato il topo, il gatto gli impartisce una
serie di lezioni in cui gli insegna che, certo, purtroppo dovrà
mangiarselo, ma che lo fa solo
per il suo bene e con grande rincrescimento, ecco che allora si ha
una costruzione ideologica prodotta, appunto, con l'intento di
giustificare, ammantandola di un fine superiore, un'attività che
soddisfa interessi di parte.
Ma la costruzione ideologica, come si
diceva, presenta il grande vantaggio di convincere il danneggiato a
collaborare “per il proprio bene” con colui che lo danneggia.
Tale processo mostra,
quindi, quale suo momento qualificante la presenza di un attore
dotato di “cattiva coscienza” in quanto produce teorie
ideologiche in grado di indurre “falsa coscienza” in qualcuno:
infatti
costui,
assumendo come propri gli interessi di quell'altro e
agendo di conseguenza contro se stesso,
viene inconsapevolmente ad
autodanneggiarsi.
Un autentico processo educativo dovrebbe, allora, essere in grado
togliere la “falsità” alla coscienza per renderla “giusta”,
cioè semplicemente consapevole tanto dei propri interessi che di
quelli dell'altro. Ma,
come insegna la storia, il cammino per la liberazione della coscienza
attraverso un suo rischiaramento critico è
tra i più lunghi e difficili e durante tale percorso le sirene
dell'ideologia non smettono di intonare la loro canzone.
Il gatto e il topo