sabato 15 marzo 2014

LA FINE DEL SENSO DI DIO NELLA POESIA DI PAUL CELAN


Paul Celan si chiede e ci chiede: che senso hanno ancora Dio e il cantico delle sue creature dinanzi ad Auschwitz?
Flannery O'Connor
Se negli anni Cinquanta del secolo scorso la scrittrice americana Flannery O'Connor può ancora scoprire, in quanto cattolica, un senso nel male che Dio aveva inviato a lei stessa (colpita da un lupus che la porterà alla morte nel 1964 a 39 anni, dopo che, per soprammercato, a questo morbo si era affiancato un tumore), o alla piccola Mary Ann, che a soli 3 anni è già devastata da un tumore che le sfigura il visetto e che, dopo una lunga sofferenza a cui contrappone una grande energia vitale, la ucciderà a 12 anni, rispondendo così all'atroce domanda “Perché soffrono i giusti e gli innocenti? Perché muoiono i bambini?”, il poeta romeno di lingua tedesca Paul Celan, dopo l'esperienza dei “campi” nella II Guerra mondiale, esperienza vissuta in quanto ebreo, non può assolutamente più continuare a mantenere aperto alcun credito a Dio stesso perché, ormai, tale fiducia gli si potrebbe concedere solo nascondendo il corso degli eventi.
 
Disegno da Terezin
 
Dinanzi allo spettacolo delle piccole valigie disposte nelle teche del museo della memoria dell'Olocausto di Terezin Dio ha perduto ogni possibilità di continuare a proporsi quale garante del cosmo, ha sperperato, ha dissipato ogni immaginabile fede nei suoi riguardi: da quelle piccole valigie sprigiona, infatti, una tremenda forza che ha potuto oscurare eternamente il sole; dinanzi a tale spettacolo il mondo si sarebbe dovuto fermare se il Male non fosse prevalso. E invece, «guardati intorno: / vedi come in giro si rivive - / Per la morte! Si rivive! / Dice il vero, chi dice ombre» [Paul Celan, Parla anche tu, in, Di soglia in soglia, trad. it. di G. Bevilacqua, Einaudi, Torino 1996, p. 97]

Disegno da Terezin


Nella raccolta poetica Di soglia in soglia [trad. it. cit.] vi sono tre poesie in cui Celan si interroga, appunto, sulla possibilità che Dio abbia ancora un senso; queste sono: Innestato nell'occhio, Colui che ci contò le ore e Assisi. Ponendosi tale interrogativo esse sembrano avere superato il tema tanto discusso se dopo Auschwitz sia ancora possibile la poesia, per chiedersi, piuttosto, se possa esserlo Dio stesso. Tale possibilità viene negata da Celan, il quale osserva come Egli resti ormai solo una figura analoga quella di un re mantenuto quale ornamento in un mondo democratico; come un addetto comunale Dio serve ancora unicamente a sorvegliare i confini dei campi, o a regolare l'orologio della torre che scandisce il tempo cittadino. Ma dopo Auschwitz, infine, secondo Celan, neppure il più puro e luminoso dei santi, Francesco d'Assisi, ha senso visto che non può neppure confortare quei morti che ancora implorano il perché del loro destino.
 
A tutta palpebra si stende il cielo / e sotto, riparato dalla gemma, / l'Eterno ara, / il Signore. // Ascolta il vomero, ascolta. / Ascolta: esso stride / sopra la dura, la chiara, / l'immemoriale lacrima. [Innestato nell'occhio, trad. it. cit., p. 45].

Colui che ci contò le ore, / costui seguita a contare. / Che mai conterà, dimmi? / Egli conta e riconta. [Colui che ci contò le ore, trad. it. cit., p. 47]
 
Muto ciò che pervenne alla vita, muto. / Travasa le urne. / [...] Splendore, che non sa confortare. / I morti, Francesco, implorano ancora. [Assisi, trad. it. cit., p. 49]
 
Paul Celan

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