Paul
Celan si chiede e ci chiede: che senso
hanno ancora Dio e
il cantico delle sue creature dinanzi ad Auschwitz?
Flannery O'Connor
Se
negli anni Cinquanta del secolo scorso la scrittrice americana
Flannery O'Connor può ancora scoprire, in quanto cattolica, un
senso nel male che Dio aveva inviato a lei stessa (colpita da un
lupus
che la porterà alla morte nel 1964 a 39 anni, dopo che, per
soprammercato, a questo morbo si era affiancato un tumore), o alla
piccola Mary Ann, che a soli 3 anni è già devastata da un tumore
che le sfigura il visetto e che, dopo una lunga sofferenza a cui
contrappone una grande energia vitale, la ucciderà a 12 anni,
rispondendo così all'atroce domanda “Perché soffrono i giusti e
gli innocenti? Perché muoiono i bambini?”, il poeta romeno di
lingua tedesca Paul Celan, dopo l'esperienza dei “campi” nella II
Guerra mondiale, esperienza vissuta in quanto ebreo, non può
assolutamente più continuare a mantenere aperto alcun credito a Dio
stesso perché, ormai, tale fiducia gli si
potrebbe concedere
solo nascondendo il corso degli eventi.
Disegno da Terezin
Dinanzi allo spettacolo delle
piccole
valigie
disposte nelle teche del museo della memoria dell'Olocausto di
Terezin Dio ha perduto ogni possibilità di continuare a proporsi
quale garante del cosmo, ha sperperato, ha dissipato ogni
immaginabile fede
nei suoi riguardi: da quelle piccole valigie sprigiona, infatti, una
tremenda
forza
che ha potuto oscurare eternamente il sole; dinanzi a tale spettacolo
il mondo si sarebbe dovuto fermare se
il Male non fosse
prevalso. E invece, «guardati
intorno: / vedi come in giro
si rivive - / Per la morte! Si rivive! / Dice il vero, chi dice
ombre»
[Paul Celan, Parla
anche tu,
in, Di
soglia in soglia, trad.
it. di G. Bevilacqua, Einaudi, Torino 1996, p. 97]
Disegno da Terezin
Nella
raccolta poetica Di soglia in soglia
[trad. it. cit.] vi sono tre
poesie in
cui Celan
si interroga, appunto, sulla possibilità che Dio abbia ancora un
senso; queste
sono:
Innestato nell'occhio, Colui che ci
contò le ore
e Assisi.
Ponendosi
tale interrogativo esse
sembrano avere superato il tema tanto discusso se dopo Auschwitz sia
ancora possibile la poesia, per chiedersi,
piuttosto,
se possa esserlo Dio stesso. Tale
possibilità viene negata da Celan, il quale osserva come
Egli resti
ormai solo una figura analoga quella di un re mantenuto quale
ornamento in un mondo democratico; come un addetto comunale Dio serve
ancora unicamente a sorvegliare i confini dei campi, o a regolare
l'orologio della torre che scandisce il tempo cittadino. Ma dopo
Auschwitz, infine, secondo Celan, neppure il più puro e luminoso dei
santi, Francesco d'Assisi, ha senso visto che non può neppure
confortare quei morti che ancora implorano il perché del loro destino.
A
tutta palpebra si stende il cielo / e sotto, riparato dalla gemma, /
l'Eterno ara, / il Signore. // Ascolta il vomero, ascolta. /
Ascolta: esso stride / sopra la dura, la chiara, / l'immemoriale
lacrima.
[Innestato
nell'occhio, trad.
it. cit., p. 45].
Colui
che ci contò le ore, / costui seguita a contare. / Che mai conterà,
dimmi? / Egli conta e riconta.
[Colui
che ci contò le ore, trad.
it. cit., p. 47]
Muto
ciò che pervenne alla vita, muto. / Travasa le urne. / [...]
Splendore, che non sa confortare. / I morti, Francesco, implorano
ancora.
[Assisi,
trad.
it. cit., p. 49]
Paul Celan
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