giovedì 26 marzo 2015

“La Modernità e il Male” ovvero perché l'Olocausto non fu fermato?



C'è una domanda che ancora oggi a distanza di molti decenni trascorsi dalla fine della seconda guerra mondiale e dal massacro nazista degli ebrei, emerge periodicamente nella coscienza di coloro che non si nascondono che con l'Olocausto quello della Modernità si configura come il peggiore dei mondi possibili.
Questa domanda è: "perché l'Europa e gli Stati Uniti non fermarono quel massacro? Quali furono le ragioni della passività con cui il mondo cristiano e liberal-democratico assistette al grande orrore degli anni Quaranta?"
E ancora: "Quali furono le effettive ragioni del silenzio delle potenze democratiche e liberali rispetto alla strage perpetrata nei lager nazisti e nei paesi occupati dal III Reich? Perché si finse a lungo di non conoscere la realtà di quel massacro orrendo?"
“Perché, con Pio XII, la Chiesa di Roma si unì a quel complice silenzio?"
In un primo tempo si ritenne che tanto il silenzio degli Alleati e del Vaticano, quanto la loro passività fossero dovuti ad ignoranza (ai famosi "Avessimo saputo!" o "Chi poteva immaginare?!"), ma a poco a poco, nei decenni successivi al 1945, non è più stato possibile negare che Roma, Parigi, Londra, Washington avessero saputo a partire dal 1941-42 quello che stava avvenendo nei lager nazisti e, con modalità diverse, nei campi fascisti sparsi nella penisola.
È apparso sempre più chiaro che i freni a rompere il silenzio e a rendere noto quel che stava accadendo nell'Europa centro-orientale avevano le loro radici nel fatto che le opinioni pubbliche che (almeno in maggioranza) prendevano sul serio le accuse religiose di deicidio mosse dal cattolicesimo agli ebrei, come anche quelle, forse ancor più diffuse, di essere gli occulti burattinai che dirigevano i governi e gli stati occidentali in base al loro perverso disegno di dominio dell'intero pianeta.

Il noto storico americano Theodore S. Hamerow ha pubblicato alcuni anni fa un'importante ricerca, tradotta anche in Italia, che promette, fin dal suo titolo, di rispondere alla domanda. Il titolo è, infatti: "Perché l'Olocausto non fu fermato. Europa e America di fronte all'orrore nazista." (Feltrinelli editore, 2012). In effetti, perché potenze liberal-democratiche occidentali come la Gran Bretagna e gli Stati Uniti che si erano pronunciate nettamente, e fin dall'inizio, contro la politica razzista e antisemita della Germania e dei suoi alleati non fecero nulla di concreto per arrestare l'Olocausto quando sarebbe bastato bombardare le linee ferroviarie di cui si servivano i treni che trasportavano gli ebrei nei campi di sterminio, anche se “alla fine del '42 le prove erano diventate così schiaccianti e incontrovertibili che non poterono più essere messe in discussione”? (Ivi, p. 300).
"L'Olocausto non fu fermato - afferma Hamerow - perché anche le democrazie occidentali furono percorse al loro interno da una fortissima ondata di antisemitismo che impedì ai governi di prendere misure concrete a favore degli ebrei. […]. E come avrebbero reagito le altre minoranze se si fosse intervenuti soltanto in favore degli ebrei?" Si sarebbe detto che le vite di tanti giovani americani o inglesi “venivano messe a repentaglio per proteggere una minoranza etnica sofferente ma straniera. Si sarebbero alimentate le voci secondo le quali la guerra veniva combattuta per istigazione degli ebrei. […]. E in questo modo ci si sarebbe distolti dal compito primario di vincere la guerra.” (Ivi, p. 302).


A questo atteggiamento si oppose negli Usa “nel marzo del '43 ad esempio Freda Kirchway” denunciando in un grande raduno a New York il fatto che “l'epurazione degli ebrei è un crimine nazista soltanto da un punto di vista materiale. In questo paese – disse rivolgendosi alla folla che l'ascoltava – voi, io, il presidente, il Congresso e il dipartimento di Stato siamo complici del crimine e dividiamo la colpa con Hitler. […]. Avevamo il potere di salvare questa gente condannata e non abbiamo alzato un dito per farlo” (Ivi, p. 311).
La risposta a tale accusa è stata che la guerra contro l'alleanza tripartita legata ad Hitler poteva essere combattuta solo in nome della sicurezza nazionale e non della salvezza di una minoranza, sia pure importante, come quella degli ebrei. Ma questo, sul piano storico, significa - e Hamerow lo riconosce apertamente – che, infine, Hitler aveva vinto “la sua battaglia” perché era riuscito a cacciare gli ebrei dall'Europa.


Questo sul piano degli eventi storici. Su quello di una loro interpretazione essenziale si deve aggiungere che l'Olocausto non fu fermato perché il suo significato non fu in alcun modo misurato in senso morale, ma solo in base a criteri politici, tecnici ed economici: ambiti, questi, i cui fini sono il potere, l'efficacia, il profitto e non quello, appunto, morale per cui ogni “tu” ha di per sé una valore infinito.


Ebbene: tutto questo non è a favore dell'idea che quello moderno è il peggiore dei mondi possibili?


Disegno di un bambino di Terezin







sabato 7 marzo 2015

"La Modernità e il Male. Per un nichilismo critico" Mario Barzaghi



Blue o Moby Dick di J. Pollock

Nel suo ultimo libro, "La modernità e il male. Per un nichilismo critico", Mario Barzaghi, autore di opere di filosofia e di critica della cultura riguardanti le ambivalenze e i conflitti della Modernità, discute l'idea secondo cui, oggi, le vere cause del Male non sono il disordine, la violazione, il caos, ma l'Ordine con cui si è organizzata la Modernità quale Struttura sistemica autoreferenziale impenetrabile a qualsiasi misura posta al di fuori o al di sopra di essa.
Oggi si è, così, posto in essere un contesto che si spaccia come Bene in quanto tale e che stigmatizza come Male tutto ciò che ostacola la sua marcia trionfale, anche se questa conduce a nessun dove. Prove di tale nuova dimensione del Male sono l'Olocausto, frutto della programmazione razionale dello sterminio di un intero popolo, e l'attuale stadio finanziario del Capitalismo che, attraverso lo scatenamento di crisi periodiche, ha condotto a un Mondo privo di fondamento economico.
Questo stato di cose impone, a questo punto, di elaborare un nichilismo criticamente orientato verso questo Essere moderno che porta le stigmate del Capitalismo, della Tecnica, della Burocrazia. Solo una teoria che muova dal principio che questo Essere è niente, infatti, può porsi all'altezza necessaria allo sviluppo di una critica di tale Totalità pervertita nei confronti di ogni senso favorevole all'esistenza.