sabato 22 febbraio 2014

Il mito illuministico dell'educabilità illimitata del genere umano e il progetto di una schiavitù volontaria

Edipo e la Sfinge, De Chirico
 
 
L'imbroglio illuministico muove dall'aver creduto all'idea del vecchio Xenofane secondo cui gli uomini cercano il meglio e a poco a poco lo trovano. Il cuore della mistificazione sta tanto nella pretesa che l'uomo sia originariamente interessato a mutare in meglio l'essere, quanto in quella che ciò sia possibile, anche se con la formula a poco a poco”: in questo modo venne inventata l'idea di progresso. Abbiamo così creduto allo psicologico e all'antropologico, cioè al fatto che la risposta che Edipo dà alla Sfinge sia quella giusta, per cui l'uomo può debellare la pestilenza (almeno quella di cui è causa egli stesso).
 
Così l'Uomo sarebbe il Senso. E invece vien fuori che vero senso è il non senso, è l'errore: la verità è nel tragico o nell'idea che ciò che è accade e che l'accadere non ha senso morale, pedagogico. La sofferenza non vuol dire niente, specie quando capita all'innocente; mentre allo stupido capita la commedia e il suo happy end. Mythos è raccontare, narrare tutto questo. L'essenziale è far ridere, piangere, stupire. Ne fa fede il bambino quando vede il mondo per quel che è e lo giudica perciò esteticamente con le categorie originarie “Bello/Brutto” (o “Grande/Piccolo” se si riferisce alle persone), mai con quelle degli adulti “Buono/Cattivo” o “Giusto/Ingiusto” come pretende Cormac McCarthy nel suo “Libro Cuore” apocalittico The road in cui un novello De Rossi in versione piagnucolosa  (sotto lo sguardo benevolmente preoccupato del padre, ansioso di fargli capire che questo mondo è un inferno, tanto che nessuno, neppure lui, ne esce vivo) continua a ribadire che loro fanno parte della schiera dei buoni.
 

Dunque, progetto democratico avrebbe dovuto essere quello di emancipare il popolo sulla base dell'idea illuministica dell'educabilità illimitata del genere umano. Ora, se per emancipazione del popolo dall'ignoranza si intende la sua scolarizzazione, almeno in Occidente, tale processo è già avvenuto. Ma nonostante ciò il soggetto “popolo” non si dimostra in grado di badare ad altro che ai propri interessi empirici, restando pietosamente al di sotto dei grandi modelli di vita del cristianesimo o del razionalismo. Allora che dire? Forse non è vero che il genere umano sia illimitatamente educabile e, forse che, perciò la democrazia tende a ridursi a pura e semplice manipolazione delle masse attraverso la propaganda? O forse il progetto educativo ha ottenuto il suo vero scopo, uno scopo che ha dovuto tenere ben nascosto perché fosse possibile conseguirlo con la docile collaborazione di quelle masse? Passare ad un regime in cui la schiavitù fosse liberamente accettata.
"The road", un'inquadratura del film




sabato 15 febbraio 2014

Jung: l'Illuminismo e le forze del Destino

Jung

L'essenziale secondo Jung è l'occulto; l'illuminismo, invece, ritiene che sia l'occultatosi. In origine, secondo Jung, c'è infatti l'occulto, una cui porzione, in seguito, si fa conscia. Da allora c'è scissione. La coscienza issa il suo mondo chiaro sull'abisso dell'occulto che le si presenta ogni volta sotto forma di archetipo a riscuotere il suo tributo. Così ecco gli dei, ecco le forze rapinose del Destino che impongono oboli alla vita cosciente sottraendole energia, fecondità, serenità.
 
La barca dell'Io

 
L'uomo non può sconfiggere l'occulto, può solo resistergli restando fedele a se stesso, alla propria parte cosciente, accettando che morti, fantasmi e demoni abbiano eletto presso di lui il proprio domicilio. Non resta che trascorrere al meglio assieme ad essi la propria vita, cioè, come suggerisce Voltaire nel finale di Candido, coltivare (con cura) il proprio giardino.


Coltivare il proprio giardino
 
 

sabato 8 febbraio 2014

Le conseguenze economiche della pace secondo Keynes o la ricostruzione di ciò che accade quando si spaccia per eterno ciò che è solo storico



Il significato più profondo del libro di Keynes Le conseguenze economiche della pace consiste, secondo noi, in una splendida analisi in cui si spiega come mai, interi popoli, o gruppi sociali, o anche solo individui, badando unicamente al proprio tornaconto, spacciano ogni volta per eternità economica quella che è solo figlia di momentanee circostanze storiche. In questo senso è un'opera che riveste un grande valore critico nei confronti del mondo attuale, è cioè in grado di gettare luce sulla penombra che sta oggi invadendo la nostra vita.

 
 
 
Ecco come inizia il libro, frutto, come si sa, della partecipazione di John Maynard Keynes alla conferenza di pace di Versailles nel 1919 in veste di delegato del ministero del tesoro britannico: «La capacità di abituarsi alle circostanze è un tratto spiccato del genere umano. Ben pochi di noi si rendono conto appieno del carattere fortemente insolito, instabile, complicato, incerto, temporaneo dell'organizzazione economica con cui l'Europa occidentale è vissuta nell'ultimo mezzo secolo. Consideriamo naturali, permanenti, sicuri, alcuni dei più singolari e temporanei nostri vantaggi recenti e ci regoliamo nei nostri piani di conseguenza. Su questa base precaria e ingannevole progettiamo miglioramenti sociali e allestiamo piattaforme politiche, coltiviamo le nostre animosità e le nostre particolari ambizioni, e pensiamo di disporre di un margine bastante per fomentare, anziché mitigare, il conflitto civile nella famiglia europea. Spinto da folli illusioni e da temeraria tracotanza, il popolo tedesco ha scardinato le fondamenta sulle quali tutti vivevamo e costruivamo. Ma i rappresentanti dei popoli francese e britannico si sono messi a rischio di completare l'opera rovinosa cominciata dalla Germania, con una pace che se mandata a effetto non può che danneggiare ulteriormente, quando avrebbe potuto restaurare, la delicata e complessa organizzazione, già scossa e devastata dalla guerra, mediante la quale soltanto i popoli europei possono vivere e lavorare» [J. M. Keynes, Le conseguenze economiche della pace, trad. it. di F. Salvatorelli, Adelphi, Milano 2007, pp. 17-18).
 
John Maynard Keynes