lunedì 22 luglio 2013

L'orizzonte perduto dell'illuminismo: un'intervista per la Rai



 
Gailestis (Rimorso) - Aubrey Beardsley, 1895
  
 
I - Il Progetto dell'illuminismo e il suo orizzonte perduto
 
Iniziamo la nostra conversazione col chiederci come sia possibile che l'uomo non  riesca a portare a termine il proprio Progetto illuministico, cioè a togliere il male che infligge a se stesso.
Sottolineiamo qui che non stiamo parlando del male assoluto, radicale, bensì stiamo semplicemente osservando che l'uomo non riesce ad amministrare le risorse di cui effettivamente dispone e che egli stesso ha organizzato: per cui ci chiediamo come sia stata possibile, ad esempio, una sciagura come quella della centrale nucleare giapponese di Fukushima in cui il bilancio tra vantaggi e perdite è andato palesemente a favore di queste ultime nonostante fossero evitabili in quanto l'uomo è definibile come un animale economico e razionale. Ma appunto per questo: come è stato possibile? Come lo è stato se è vero come è vero che l'uomo è libero di agire in quanto con la sua azione illuministica ha epurato completamente l'universo dai demoni che gli si imponevano come un destino imperscrutabile costringendolo ad agire contro il proprio interesse ad una “buona vita”? Sembra, infatti, che qui l'uomo abbia agito in modo tale da porsi quale demone di se stesso.
In questo senso oggi il compimento dell'illuminismo, con la realizzazione di un mondo emendato dalla superstizione che dà all'uomo un'assoluta libertà di agire e, nel contempo, con la perdita dei principi economici e razionali che ne hanno regolato per millenni il Progetto, appunto quello per cui l'uomo avrebbe sempre e comunque mirato a togliersi il male superfluo, si registra come perdita dei suoi orizzonti:
la nostra tesi è allora quella per cui oggi viviamo in un mondo che ha smarrito l'orizzonte originario dell'illuminismo. Ci troviamo così dinanzi al dato inquietante per cui l'illuminismo giunge alla sua negazione nel momento stesso in cui realizza il proprio Progetto. Tutto ciò è perturbante perché, se una volta si diceva che il compimento dell'illuminismo non si era realizzato a causa di un suo stravolgimento, oggi una simile affermazione non è più possibile in quanto l'essenza del Progetto consisteva nel legare la “buona vita” alla possibilità di agire liberamente in base alla propria volontà. Ebbene tale libertà di agire si è oggi realizzata in modo infinito. Nulla più ormai ostacola il Progetto: la volontà di agire oggi può volere infinitamente se stessa, cioè non è più sottoposta ad alcun vincolo, non incontra più alcun ostacolo, non è più soggetta ad alcuna regola naturale o trascendente: essa
impone ovunque infinitamente il proprio volere in modo autoreferenziale, cioè ammettendo quale unica misura il suo volere stesso. Questo modo dell'agire umano universale in quanto privo di  qualsiasi vincolo ontologico si dice volontaristico e la sua posizione consolidata è quella del volontarismo il cui esito autodistruttivo dà infine luogo a quella condizione di desolazione universale che si definisce nichilismo.

 
 
Oreste perseguitato dalle Erinni - Bouguereau


II – Il mistero del senso di un modo privo di fondazione

Il punto di vista da cui muove il mio libro, intitolato “Orizzonti perduti” appunto con riferimento allo smarrirsi di senso dell'illuminismo, è filosofico-storico: esso è l'atteggiamento per c i si cerca di interpretare come necessario (filosofico) il carattere di un evento (la storia). In base a questa prospettiva il nichilismo non può essere considerato un semplice errore di rotta o una distorsione dell'illuminismo. Invece, secondo l'illuminismo stesso si tratterebbe proprio di un errore che potrebbe venire corretto semplicemente con una vasta e capillare opera di propaganda educativa in base al principio razionalistico per cui il male è ignoranza, come se il processo fosse nelle mani di individui potenzialmente razionali che solo circostanze sociali ed economiche disgraziate o solamente arretrate hanno reso svantaggiati o poco avveduti nei confronti dei propri reali interessi, ma che si potrebbero emancipare con un corso accelerato di autocoscienza illuministica.
Invece, secondo la nostra tesi, l'illuminismo ha compiuto il suo corso e, appunto con tale compimento, ha tolto il proprio senso essenziale: l'emancipazione.
Ma se il valore dell'illuminismo si dissolve proprio col suo compimento, vuol dire che l'uomo non controlla proprio il meglio: la struttura stessa dell'essere, l'ontologia che disegna il mondo.
Vuol dire che in realtà l'essere non in nostro potere, ma ci è dato e che noi siamo gettati nel suo orizzonte di senso senza alcun possibilità di intervento su di esso. Possiamo solo eseguirlo in quanto è ciò che soprattutto ci è già dato.
Ma qual è questo senso già dato? È quello della reificazione e dell'autoreificazione per il quale tutto l'essere ha forma di ente, ha forma di fatto, ha forma di merce. Questa presentazione del nostro mondo è originaria ed è l'essenziale. Noi vediamo enti, crediamo a fatti, produciamo e desideriamo merci. Questo agire teoretico, gnoseologico, economico, morale, affettivo dà vita a un mondo la cui struttura ontologica è, appunto, effetto di tale nostro particolare processo di astrazione e, nel contempo, è frutto di quell'orizzonte di senso in cui siamo tutti gettati.
Secondo Marx o Adorno tale processo di astrazione è l'espressione congruente della modernità e del capitalismo quale sistema del mondo moderno. Per Heidegger (ma già prima con Nietzsche) esso risale, invece, ai greci in quanto essi leggono per primi il mondo come realtà, cioè come un tessuto di entità ideali con Platone, o sostanziali con Aristotele. In entrambi i casi l'illuminismo è visto come quella rappresentazione del mondo che procede sulla via dell'astrazione, strada che sfocia necessariamente nel volontarismo nichilistico per cui, infine, appare chiaro che l'essere è ciò che la volontà generale vuole, è ciò che tale entità fantasmatica, ma realissima, espressa in modo adeguato nella costituzione americana con la formula “we the people”, vede, sancisce, desidera. Così, però, non ci si può più nascondere che vi è un nesso essenziale tra nichilismo, per cui l'essere non è nulla in sé, bensì è solo ciò che voglio, democrazia, o che vero e giusto è quel che tutti vogliono, ed economia, o che tutti vogliono quel valore che consente di possedere merci, per cui tutti pretendono denaro.
In questo senso si è dimostrata errata la concezione di Marx secondo cui i rapporti sociali e politici si dovevano modellare sul livello di sviluppo raggiunto dalle capacità produttive, così che quella del capitalismo sarebbe stata solo una fase transitoria superata dal socialismo quale mondo in cui si sarebbero finalmente insediati valori economici sostanziali in luogo di quelli di scambio: Marx, dunque, come i classici, riteneva che l'economico fosse il motore naturale in grado di guidare lo sviluppo storico e, dunque, di superare la reificazione del mondo moderno in cui tutto l'essere viene ridotto a valore di scambio attraverso il sistema del capitalismo.
Questa impasse del materialismo storico di Marx per cui la sua idea di una supremazia dell'economico si è dimostrata errata verrà superata solo con la scoperta di Adorno di un primato dei rapporti sociali su quelli economici: egli, guidato dal dato di fatto che sono le orme di relazione sociale astratte su cui si basa il capitalismo a decidere la direzione dello sviluppo economico, pose appunto il primato della società che, in tal modo si qualificava come “pura”, cioè strutturata senza più alcuna fondazione economica o naturale, per cui in essa la relazione essenziale è quella orizzontale della forma-scambio, del pari per pari, così che tutti i modi di essere e d agire naturali, economici, sono riducibili a tale forma-scambio giunta ormai al suo grado di purezza assoluta. Ma se la società non poggia più su alcuna base economica o naturale ma solo su se stessa, allora poggia sul niente ed è quindi inevitabile l'avvento del nichilismo o della condizione per cui dell'essere non ne è più nulla.
In tutto ciò, però, si annida il mistero di quale possa essere questa unità di misura astratta e nichilistica, cioè priva di alcuna fondazione naturale, a cui gli uomini possano riferire il loro agire come effettivamente fanno, una misura assoluta ma priva di sostanzialità con cui essi possono rapportare le loro esistenze, che per natura sarebbero del tutto incommensurabili, e scambiarle tra loro come se avessero pari valore!
La soluzione di tale mistero la offre Heidegger quando, pubblicando nel 1927 il suo importante libro “Essere e tempo”, scopre che la costituzione inconsistente dell'esistenza, cioè priva di ogni sostanzialità, è la temporalità (la Zeitlichkeit ) la quale viene convertita in un'altra temporalità, quella astratta del mondo comune, vale a dire in una “temporalità socializzata” che Heidegger chiama “temporalità dell'essere” (la Temporalität ) con cui, appunto, diventa possibile costruire un essere, un mondo comune che, proprio perché basato sull'astrazione della temporalità naturale dell'esistenza, è un mondo costituito unicamente da enti, da fatti, da merci: appunto, un mondo reificato. In tal modo ognuno può con-correre alla formazione del tempo-comune convertendo la propria temporalità esistenziale in unità di tempo-ora, in un “i-stante”, in un “che-è-ora”, in un “essente”, in un “ente”: con Heidegger l'ente non è, dunque, altro che un grumo di tempo della nostra esistenza che noi abbiamo rappreso sotto specie di tempo-ora che costituisce la fonte nascosta della forma-cosa. Questa è l'originaria operazione che dà luogo alla costruzione di un essere assieme, di un mondo comune reificato. Tale tempo-ora è il segreto del valore di scambio universale che rende possibile tanto il capitalismo, quanto la democrazia moderna, e che permette l'insediarsi del nichilismo; questa è la segreta fonte del valore di cui si andava in cerca. Il tempo-ora è quell'unità fantasmagorica asostanziale che costituisce il fondamento infondato della Modernità o, addirittura, dell'Occidente intero sin dalle sue lontane origini in Grecia.

III – Quale senso potrebbe ancora avere il futuro in questa prospettiva del nichilismo?

Naturalmente ora sorge spontanea la domanda che chiede: quale senso potrebbe avere oggi il futuro in questa prospettiva appena descritta del nichilismo? Quali forme di agire morale, se non anche politiche ed economiche, sono possibili oggi?
Se Adorno pensa che dinanzi a questo stato di cose non resti altro che una muta ostinazione che tenta di sottrarsi a qualsiasi coinvolgimento in quella che egli chiama l'Amministrazione totale (la posizione che Marcuse chiamava del “gran rifiuto”), quella sarebbe più stato possibile fare poesia, Heidegger predica una posizione ancora più radicale: quella dell'Abbandono. Infatti, dal momento che la pretesa essenziale dell'illuminismo consiste nell'attribuire al libero agire umano la capacità di togliere il male che infligge a se stesso, e dal momento che tale libertà di agire non incontra ormai più alcun ostacolo per cui tale agire può dispiegarsi infinitamente, ma poiché, nonostante ciò, non solo l'uomo continua ad infliggersi lo stesso male, bensì, giunge a perpetrare il male assoluto del togliere senso alla vita come tale, riducendo ogni sua espressione a puro mezzo per accrescere l'efficacia del “Volere che vuole se stesso” (la Volontà di potenza di Nietzsche), dinanzi a tutto ciò Heidegger giunge a sostenere che non vi sia altra via di salvezza oltre quella dell'Abbandono del Progetto stesso dell'illuminismo, cioè della rinuncia all'idea stessa di Volontà libera per abbandonarsi al vero Essere, quello assente che si pone al di là dell'ente e, dunque, anche dell'Ente supremo, di Dio stesso. Vero Essere è, dunque, quello assente in quanto non è niente, non è nessun ente, ma è solamente puro Evento. Ebbene, l'Evento che oggi giunge a maturazione è quello dell'Abbandono dell'uomo a se stesso, al proprio libero progetto illuministico che realizzandosi è, infine, giunto a smarrire il proprio orizzonte di senso. L'Abbandono ha, così, un doppio significato: quello per cui l'uomo è stato abbandonato al nichilismo e quello per cui si è abbandonato ad esso con la scoperta che nessun ente è l'Essere e che, dunque, ni-ente può garantirlo dal nulla tranne quell'Essere che non è nessun ente, a di cui egli non sa nulla, così che non può cogliere la Differenza più essenziale, quella tra l'Essere e l'ente. Solo a partire dalla scoperta di tale Differenza originaria potrebbe riaprirsi la prospettiva di un Progetto alternativo a quello dell'illuminismo, di una nuova destinazione dell'essere: nel frattempo non resta che abbandonarsi alla custodia di tale possibilità nell'attesa che tutto si compia.
 

Oreste purificato da Apollo - Pittore delle Eumenidi - Cratere a figure rosse - 370 - Louvre