lunedì 5 novembre 2012

"Interni" - Tre Racconti di Mario Barzaghi



Ilaria Barzaghi, Interno estate 1993, acquarello
Interni di Mario Barzaghi (Edizioni youcanprint, 2012) è un’opera consistente di tre racconti intitolati Figure di carta, Vita di Isidoro e Memoria di viaggio. Si tratta di tre storie che si muovono al di là della realtà e delle sue consuete dimensioni dello spazio e del tempo: esse infatti rappresentano tre punti di fuga dal mondo quotidiano, tre piccole porte attraverso le quali si discende nella propria interiorità per esplorare possibilità alternative dell’amore, dell’arte, dell’avventura e ci si incammina in cerca del sogno ponendosi sulla via del ritorno ad un’origine il cui profumo è svanito per sempre.
Alice Mirror by Sebastien Servaire
Nel primo racconto, Figure di carta,  il protagonista immagina che al nostro mondo tridimensionale, il cui  aspetto più appariscente è di essere una «immane raccolta di fatti» che si dispongono già ordinati in modo che sia possibile dare all’esperienza un unico senso, senso che si costituisce perentoriamente quale realtà, se ne possa contrapporre un altro strutturato su due dimensioni.
Su cosa si basa la pretesa superiorità del nostro mondo tridimensionale ordinato in fatti? Sulla costruzione di una teoria del maggior valore del proprio essere poggiante su di un giudizio economico: un mondo è superiore ad un altro se produce più ricchezza. La ricchezza è la terza dimensione costituente il valore aggiunto al suo essere: tale valore è, quindi, il surplus economico.
 Soldatini di carta, G. Crepax

Così dell’epoca bidimensionale si dice che, «nel complesso non vi fu sulla terra periodo più penoso per la possibilità di vita: si pativano tutte le conseguenze immaginabili di una assoluta dipendenza dalla natura che si mostrava con malattie, pestilenze, freddo e fame. Infatti, ad ogni rigido inverno, ad ogni estate troppo secca, ad ogni raccolto mancato, bambini, donne, vecchi venivano decimati dalla mancanza di scorte alimentari».
Mentre col sopraggiungere degli stranieri conquistatori che introdussero una terza dimensione vennero operati «cambiamenti grandiosi in questo senso. La terra dava più frutti, tanto che si riuscirono a superare i periodi di carestia per via di accumuli di scorte. Il lavoro venne rigorosamente diviso e se ne avvantaggiò in modo notevole la quantità e la qualità dei prodotti. La durata media della vita umana aumentò. Dato che i nuovi non erano malvagi a poco a poco le popolazioni si amalgamarono » (FdC, p.11). Tutte tranne una che rimase, invece, ostinatamente legata ad un’esistenza a due dimensioni. Questo racconto narra la storia di questo popolo attraverso gli occhi dei suoi tre personaggi principali, Dario, Marco e Dora.
Scala elicoidale, Palazzo di Caprarola, Vignola
 Il tema di fondo del secondo racconto  - Vita di Isidoro - è il rapporto tra idea e tempo, tema che viene trattato narrando dell’impossibilità da parte di Isidoro, l’architetto protagonista della storia, di concepire la copertura di un edificio che ha avuto l’incarico di costruire. Attraverso tale problema architettonico si registra l’impotenza dell’idea di venire in luce quando essa non ha ancora raggiunto la propria significatività dinanzi alla storia: così il protagonista avverte che «mancava qualcosa che egli non riusciva a raffigurarsi, che forse doveva ancora apparire, ma che avrebbe anche potuto non giungere mai ad una forma compiuta» (VdI, pp. 28-29).
San Cataldo, Palermo
Isidoro è stimolato dai suoi maestri, gli architetti Consono e Numitore, ad interrogarsi sul valore dello spazio nell’arte costruttiva: infatti, dinanzi al Palazzo ormai abbandonato della Capitale,  Consono, secondo il proprio ideale classico, sostiene che ogni opera di architettura deve esprimere «bellezza e bontà», cioè servire a qualcosa. «Certo ora non più, ma solo perché l'utile era stato sbiadito dal tempo. Qui qualcosa sfuggiva: questo qualcosa era solo più forte delle forme, oppure c'era anche dell'altro? In particolare: era possibile che la distruzione delle forme consistesse solo nel fatto che col tempo dovessero semplicemente diventare inutili? Da ultimo, e con più chiarezza: dove sono andate a finire dopo che se le è prese il tempo? » (Ib, p. 32). Nel tentativo di rispondere a tale domande Isidoro consumerà la propria esistenza: solo in sogno, o in punto di morte, otterrà la visione della forma architettonica alla cui elaborazione ha dedicato tutto il proprio impegno artistico.
Dodo, di D. Murphy
Il terzo racconto - Memoria di viaggio - è un’allegoria del mondo moderno nel suo vertiginoso rincorrersi di crisi e sviluppo. Donde proviene la scissione originaria della modernità per cui, nel mentre sembra accrescersi indefinitamente quale sistema dell’opulenza, una forza ineludibile la spinge a rotta di collo verso una destinazione la cui meta è l’abisso? La causa di tutto ciò è un’infezione maligna che proviene da Marte o semplicemente l’effetto dello svolgersi coerente dei principi in base a cui la civiltà moderna è sorta?
Astragalo, Decorazione architettonica





Il cuore della dimensione allegorica del racconto è il suo protagonista, il personaggio di Astragalo: è ammalato e nel mentre che gode ottima salute. I comuni medici non sanno cosa dire, per cui deve intervenire lo stesso fondatore della medicina, Ippocrate, a conferirgli la capacità di esaminare se stesso nel senso più profondo per scoprire l’origine di una propensione morbosa risultata incomprensibile agli occhi del positivismo clinico. Ed in effetti si dice che quando Astragalo «esaminò con circospezione la propria radiografia non riusciva a scorgervi la macchia di cui da tempo gli parlavano i medici. L'insieme lo faceva piuttosto pensare a qualcosa che disegnava nella sua infanzia», cioè a qualcosa che risale alle sue più lontane origini. Di qui il viaggio mitico-fantastico che si risolve di intraprendere sul filo di una memoria che si rivelerà, infine, nascosta a lui stesso proprio nel momento in cui giungerà sul punto di portare finalmente alla luce il suo segreto avendo percorso tutte le stazioni del proprio mondo arcaico sotterraneo.











giovedì 10 maggio 2012

Una Lady Macbeth del distretto di Mcensk di Dmitrij Šostakovic

Una Lady Macbeth del distretto di Mcensk, basata su una novella di Leskov e composta da Šostakovic tra il 1930 e il ’32, venne rappresentata a Leningrado e a Mosca nel 1934. Il suo allestimento scatenò le accese critiche da parte dei portavoce ufficiali del governo, che considerarono il linguaggio di Šostakovic poco comunicativo e troppo sofisticato dal punto di vista della ricerca strutturale. Inoltre, venne severamente condannata la modernità della scrittura e l’audacia di alcune situazioni, in particolare della scena d’amore tra Caterina e Sergej nel primo atto. L’accusa parte dal famoso articolo di Zdanov  Caos anziché musica”, pubblicato sulla “Pravda” il 28 gennaio 1936. Nonostante la sua attiva partecipazione alle organizzazioni statali (anche ai vertici delle gerarchie ufficiali e burocratiche), Šostakovic viene duramente redarguito per essersi allontanato dalle istanze del ‘socialismo reale’. Egli, come altri grandi intellettuali quali Bulgakov o Grossman, deve, dunque, scontrarsi con l’ideologia staliniana. Dopo Il naso (1930), nel quale aveva affrontato l’universo popolare e grottesco di Gogol’, Šostakovic si misura qui con una tematica carica di tensioni, non priva di aspetti grevi carichi di un erotismo esplicito di cui la critica spesso non colse il fine di denuncia come se la poesia non si servisse proprio di queste situazioni rivestendole di un linguaggio consono per rappresentare il male e la degradazione umana. Per cui ad esempio Stravinsky accusò l’opera di provincialismo ed una rivista americana specializzata la definì “pornophony”! Sappiamo da un passo delle Memorie del compositore che Šostakovic si era avvicinato al soggetto per amore di Leskov ma anche grazie alla carica suggestiva delle illustrazioni erotiche di Kustodiev e al film, definito «vigoroso e avvincente», di Ceslav Savinski.

Dmitrij Šostakovic

L’opera si incentra sul personaggio femminile di Caterina, protagonista indiscussa. Šostakovic si era già avvicinato al genere grottesco, del quale coglieva in particolare il lato ambivalente, dissacratorio e trasgressivo. Comportamenti, persone, situazioni si deformano, si mescolano, si rendono metamorfici grazie all’ottica sarcastica che, nel caso di Lady Macbeth , svela il lato tragico dell’esistenza sotto la patina dei pregiudizi morali e dei codici comportamentali sanciti. Šostakovic era infatti attratto dall’estetica di Goya e provava un forte interesse per i processi psicologici e mentali come venivano fantasticamente reinventati da Hoffmann e da Poe. Insomma, la realtà, per lui, non è mai una, ma svela sempre le sue molteplici facce: e Caterina, a differenza del personaggio originale di Leskov, viene letta da Prejs e da Šostakovic come simbolo dolente di una scelta distruttiva e autodistruttiva, cui la crudeltà dei costumi patriarcali l’hanno costretta. La donna, specie nel periodo pre-rivoluzionario, non ha possibilità di vivere le proprie passioni se non optando per la follia e la degradazione.  Caterina, quindi, rappresenta le contraddizioni di un personaggo lacerato e tragico: figura sfaccettata e polivalente, dà carattere a tutta l’opera assumendo su di sé l’unico vero e proprio ruolo lirico, appassionato ed espressivo in senso tradizionale. Osserva infatti il compositore a proposito della sua opera (facendo attenzione, però, al fatto che nell'interpretare le opere di Šostakovic, bisogna accettare con prudenza le dichiarazioni dell'autore, attento a velare  verità imbarazzanti per l’ideologia totalitaria staliniana):

«L'opera è per me tragica. Direi che la si potrebbe definire un'opera tragico-satirica. Anche se Katerina L'vovna è un'omicida - assassina infatti il marito e il suocero - ho per lei simpatia. Mi sono preoccupato di dare a tutti gli avvenimenti che la circondano un oscuro carattere satirico. Il termine "satirico" non è certo da intendersi nel suo significato di "ridicolo, canzonatorio". Al contrario: con la Lady Macbeth mi sono preoccupato di creare un'opera che sia una satira larvata e, gettando la maschera, obblighi a odiare lo spaventoso arbitrio e i soprusi della classe dei commercianti».

 Stalin timoniere

Gli altri personaggi sono quasi sempre connotati da stilizzazioni volgari, da musica di consumo o da intonazioni grottesche e forzate. È significativo che proprio questi aspetti stranianti, che creavano un’increspatura psicologica tra l’autenticità della solitudine di Caterina e il torbido malessere degli altri personaggi, abbiano urtato il sistema ideologico sovietico dell’epoca. Le accuse rivolte alla vecchia famiglia di stampo maschilista infastidivano l’ottimismo ipocrita ed edificante del regime. Questo è forse il motivo dell’abbandono, da parte di Šostakovic, dei lavori teatrali che, a eccezione della commedia musicale composta molto più tardi, Mosca, quartiere Cerëmuski (1959), rimasero tutti allo stadio di abbozzo. Nella versione riveduta, che andò in scena nel 1963 a Mosca, con il nuovo titolo Katerina Izmajlova , l’opera, ripresa grazie all’atmosfera di ‘disgelo’ di quegli anni, è comunque ‘ripulita’ dagli aspetti più truculenti e dalle scene più erotiche; viene inoltre enfatizzato l’aspetto della denuncia sociale. Riproposta in Europa e negli Stati Uniti, ispirerà un film (dal titolo Katerina Izmajlova, 1967) diffuso in tutto il mondo.
Ma per ritrovare l’autentica Lady Macbeth di Mcensk  occorrerà attendere la fine degli anni Settanta con la versione diretta da Mstislav Rostropovic che annovera Galina Visnevskaja quale insuperabile interprete di Katerina. Infatti, afferma Rostropovic, che Sostakovic ha dovuto imparare a sue spese a vivere "in clandestinità". Di conseguenza, Rostropovic accantona le dichiarazioni ufficiali del suo autore preferito e - d'accordo con la maggior parte dei Teatri in Occidente - riporta finalmente alla luce l'originaria Lady Macbeth di Mcensk, più aspra, certo, ma più autentica.


Copertina dell'opera diretta da Mstislav Rostropovic